mercoledì, dicembre 12, 2012

Leggera

Leggera vorrei essere. 
Per volare ancora un po'. 
Leggera come un'impalpabile meringa. 
Dolce che si scioglie in bocca. 
Nella tua bocca.

lunedì, novembre 05, 2012

Errata

Tutti mi dicono che sono un libro aperto . Ma io oggi so che dentro questo libro ci sono un sacco di errori di stampa . Il correttore di bozze non ha fatto un buon lavoro con me .

giovedì, ottobre 25, 2012

Il côté pruriginoso delle foglie d'autunno

Oggi parliamo di sesso, ché l'autunno ha un suo côté pruriginoso. Mi trovo a raccogliere, per la mia vocazione a Donna Letizia, le confidenze sessuali di parecchi rappresentanti del sesso maschile. Diverse tipologie di esigenze, diverse soluzioni. Cominciamo col dire che voi, o uomini che riuscite a comunicare questioni relative alla vostra sessualità, io vi amo tutti. Di un amore viscerale. Incondizionato. Amo lo sforzo che fate per verbalizzare il vostro desiderio, la vostra passione, le vostre paure e a volte, perché no, la vostra inadeguatezza. Verbalizzare è un enorme passo avanti verso la comprensione del problema. Verbalizzare, rendere parola gli eventi, i sentimenti, le sensazioni, è un segno di ricerca e di desiderio di crescita.
E allora poco importa se c'è solo una donna, se ce ne sono troppe, se ci sono donne e uomini, se le vorreste tutte e non riuscite ad averne nessuna: l'importante è la consapevolezza che tutto è possibile. E bisogna tenere gli occhi spalancati e tutti i recettori massimamente attivi per non perderne neanche un segnale.
Il côté pruriginoso dell'autunno è lì dietro l'angolo, non è solo un presagio. 
Lo riconoscerete dalla foglia rossa che terrà in mano. Qualcuno ci vedrà un frustino, qualcuno una bandiera, qualcuno un mouchoir, qualcuno un dono, qualcuno una foglia. Tutti, indistintamente, sentiranno l'odore di cui sarà impregnata. Il mio consiglio di oggi è: seguite a tutti i costi quell'odore.

venerdì, settembre 28, 2012

Figli degli anni sessanta

Io: Sai, in questo momento che sono disoccupata mi domandavo se avessi qualcosa da farmi fare, anche bassa manovalanza, va bene qualsiasi cosa.
Lui: Ahahahahaha, stavo per chiederti la stessa cosa (non scherzo).

lunedì, settembre 24, 2012

Cosa c'è in palEo?

Beh non c'è che dire. Il programma di storia delle elementari è inquietante assai. Praticamente in terza elementare si studia la preistoria. Si inizia con la preistoria, a Natale circa si dovrebbe fare la preistoria in maniera approfondita, per attraversare la primavera su un florilegio di preistoria fino ad approdare a giugno infarciti di preistoria. Ora, certo, abbiamo a che fare con almeno due milioni di anni se non di più. Vuoi che non serva almeno un anno di elementari per studiarli? Certo che sì! Giusto per mettere un punto chiaro su da dove veniamo chi siamo un fiorino. Nei due anni a venire si studieranno poi gli antichi, fino ad arrivare in quinta a Greci e Romani. Effettivamente l'invenzione della scrittura cambia tutto. Il mio professore di Storia delle religioni all'università ha scritto fior di libri enunciando che la storia diventa tale quando l'uomo comincia a fare una cronologia consapevole degli eventi. Eventi macroscopici tipo successioni di re o faraoni. Mica la lista della spesa. Il momento in cui l'uomo decide di mettere nero su bianco il trascorrere del tempo, ecco là che comincia la storia. E prima c'è la preistoria, quel limbo di cui abbiamo sparse testimonianze di varie tipologie, attraverso le quali si ricostruisce, anche mediante sofisticati sistemi, la cosiddetta "cultura" umana. Cioè in buona sostanza cosa mangiavano come si vestivano con chi scopavano i primi abitanti del globo terraqueo. Compresa una minima digressione sui dinosauri e le ere geologiche che piace sempre tanto ai bambini.
E noi genitori ci guardavamo tutti uno con l'altro, ah interessante la preistoria, ma il medioevo? No, il medioevo se va bene lo faranno alle medie. Così hanno il tempo di approfondire bene tutto. Alla faccia del tempo. Per me, come minimo, devono uscire dalle elementari che sanno fare correttamente una datazione col C14 altrimenti rivoglio indietro il biglietto. Solo così non sarà stato tempo sprecato! Un anno importante, questo della terza elementare. Passato a capire chi siamo e da dove veniamo. Nessuno ha avuto coraggio di chiedere informazioni sul programma di geografia, che, ipotizzo, tratterà vulcani, placche e terremoti. Intanto, in classe, risulto essere l'unico genitore in possesso delle Fiabe italiane di Calvino, nobile libro che lessi all'età di dieci anni. Che ha assunto un'aria di vissuto come pochi e rappresenta per me l'amore per la lettura, che mi ha fatto nascere con le sue meraviglie. Domani lo presto alla maestra. Le ho detto che vale come la mia vita. Deve aver cura di lui come  avrà cura dei nostri figli. Rappresenta la preistoria della mia cultura e - alla luce del programma di storia della terza elementare - forse può valere ancora qualcosa.

venerdì, settembre 14, 2012

Fuori luogo

Io sono così. Quando ero piccola, tutti mi scherzavano (cit.). Come sei alta! La notte ti innaffiano? 
E non è facile adattarsi ad una vita da gigantessa. Purtroppo e con grande rammarico - e lo ammetterò solo incidentalmente - gigante solo fisicamente. E' che ci sono tanti scogli. Si rema contro corrente in ogni cosa della vita. Per non parlare dei possibili fidanzati. Io quelli li ho quasi sempre scelti alla mia altezza. Con quelli che non lo erano, mi ci sono confrontata solo in orizzontale, senza una parola di troppo. Io sono così. La mia statura eccezionale mi ha abituato a confrontarmi in maniera abnorme con le cose e le persone della vita. Tutto bianco o tutto nero. Spesso solo parole di troppo, trovate nel fondo dell'anima, affaticata da tante sfide. Conta sempre almeno fino a dieci - mi diceva sempre la professoressa d'italiano alle medie. Mi ricordo che una volta mi censurò perché avevo detto la parola "sesso", riferita al sesso femminile, non alla copula in sé. I ragazzi mi hanno sempre scherzato. O sembravo un maschio e facevo tutti i giochi da maschio, oppure mi prendevano come confidente, anche se io avrei desiderato che mi prendessero da qualche altra parte. Poi con gli anni, i miei uomini mi hanno preso come una super donna. Grande grossa femminona. Tipo venere steatopigia. Che in parole povere vuol dire col bacino largo, atta a figliare. Perché non bastava l'altezza, no. Ho avuto diritto anche alla "mole". Avrei potuto uscire fuori come uno stecco di fotomodella alta 1m83! Ma invece no. E' venuta fuori una venere steatopigia. E che ci si deve fare, ci si adatta. On fait avec - come dicono i francesi. E ho fatto con, piuttosto che senza. Mi sono confrontata con l'essere gigantesco che avevo davanti allo specchio. Ho imparato ad amarlo, a coccolarlo. Fino a che persino io sono uscita dalla crisalide e mi sono trasformata in una farfalla (a forma di elefante, ma questo è un inutile dettaglio). Ma perché tutta 'sta discussione? - dirà il mio attento lettore. Perché ieri mi sono venute le paturnie mentre mi preparavo per il concerto di uno dei miei gruppi preferiti attualmente, concerto di norma frequentato da pischelli accannati in cerca di affermazione di identità collettiva. E mi sono sentita vecchia, fuori luogo e soprattutto inappropriata. Poi sono andata al concerto e ho pogato più e meglio di loro. Loro a cui il frontman del gruppo ha detto "Battete le mani, cazzo. Se no la prossima volta andate al cinema". E io che mi ero consumata le palme, la voce e i piedi mi sono sentita, per una volta, al posto giusto, nel momento giusto e con tutto, finalmente, al posto giusto.

martedì, luglio 24, 2012

Breve sintesi dei progressi dell'umanità. Ma vi prego non pensate di trarne una pubblicazione di rilievo internazionale perché io non sono un'autorità in materia.

Mentre raccontavo a mia figlia la storia dell'umanità, partendo dai cacciatori-raccoglitori, cercando di dare un senso logico agli eventi, o almeno intellegibile alla sua giovane mente - e fors'anche alla mia che più giovane non è -, mi sono imbattuta in un pensiero folgorante. Di fatto stavo cercando di giustificare ai suoi occhi che gli uomini cercassero modi sempre più facili di procurarsi il cibo e per ciò fare avevano capito che sarebbe stato molto utile costruirsi una strumentazione più complessa con le mani che pure di per loro erano già assai evolute, tipo punte di lancia, ruota, fuoco. Da questo concetto sono passata a spiegarle come, vista la relativa facilità a procurarsi cibo per la sussistenza e il conseguente aumento della stanzialità [mi perdonino i paleoetnologi per l'estrema semplificazione], gli uomini iniziarono a vivere in gruppi, gruppi di persone conviventi sullo stesso territorio, che condividevano spesso le stesse abitazioni, per rudimentali che fossero, forse anche le stesse donne, sicuramente lo stesso lavoro e lo stesso cibo. E da lì - ho chiosato - iniziano tutti i problemi. [Questo era il pensiero folgorante].
Mia figlia, beata giovinezza, mi ha chiesto: "Ma problemi come quelli di matematica?" Ho riso e detto ma dai che dici. Poi ho riflettuto che sì, iniziano problemi quasi come quelli di matematica, algebra o geometria. Calcoli, divergenze, convergenze, archi, parabole ascendenti e discendenti. E, più dura tra tutte, la fatica della convivenza. Che di fatto giustifica la nascita, in tempi sicuramente tardi, delle scienze umane, della sociologia e della psicologia in particolar modo, che cercano di porre rimedio ai danni provocati sull'individuo dalla convivenza con gruppi di suoi apparentemente simili.
E poi, siccome la mia vena prosaica mi porta a buttare sempre tutto in caciara, come dicono a Roma, mi è venuto - mentalmente e non davanti a mia figlia, per fortuna - di fare il paragone con le convivenze familiari di oggi, quelle cui siamo abituati per un motivo o per un altro. Chi per scelta, chi per obbligo, chi per piacere si trova a dover condividere momenti privati con persone più o meno care e che anche incidentalmente abitano sotto lo stesso tetto. Non voglio sproloquiare su luoghi comuni tipo suocera e nuora, cognato o cognata, moglie e marito, madre e figlia. Sarebbe troppo facile. Non voglio fare nomi insomma. Mi premeva esprimere solo un concetto, a corollario del pensiero folgorante di cui sopra: ma chi minchia ce l'ha fatto fare a scoprire il fuoco?????

mercoledì, luglio 04, 2012

Ciance su un addio

Bando alle ciance, riprendiamo argomenti fatui, ché cosa non si fa per andare avanti. E questo film merita la Palma d'oro del fatuo. Produzione Bollywood*, ricca, sicuramente, piena di giovani e belli attori indiani. Ambientazione indiani trapiantati in America, quindi assai lontano dalla tradizionale India, questo film parla di tradimento. Quel tradimento extraconiugale che non rimane una scappatella, ma si trasforma in amore e come tale fonte di guai. L'amore, come dice la voce fuori campo durante i titoli di coda (sono rapida, passo già al finale), è passione, rispetto e condivisione
Se manca tutto questo, la coppia si scoppia.
Il problema fondamentale è che nella vita di tutti i giorni siamo sommersi da talmente tante urgenze che queste tre cose rischiano di non andare di pari passo, magari una è predominante rispetto alle altre, oppure tutte e tre si attenuano in nome di un quieto  vivere.
Io credo che al di là della storia smielata sullo sfondo - la protagonista non smette di piangere un secondo dall'inizio del film, il senso di colpa la trafigge - il contenuto ha molto senso. Il rapporto di coppia rischia di diventare abitudinario e sterile senza la giusta alchimia dei tre elementi indicati. E due persone rimangono rinchiuse in un recinto che hanno creato, ognuno con le sue illusioni. Quando uno dei due incappa in un altro/a, che lo riporta a quei tre elementi in pari quantità, l'illusione scoppia. Si frantuma alla luce del sentimento, che da un lato non c'è più e dall'altro cresce inesorabilmente.
Che dire. Ognuno avrà sperimentato tradimenti più o meno sostanziali. Più o meno turbativi del rapporto di coppia "ufficiale". Ma è un'evidenza che la scappatella per chi tradisce non ha senso (lasciamo perdere la visione del tradito centro del mondo che prende tutto sul serio, non ho nessuna intenzione di compatirlo). Quello che invece ha senso - e tanto - è il tradimento che innesca l'innamoramento. E allora son guai. E non c'è santo che tenga. Ti conviene "Non dire mai addio".

*“Non Dire Mai Addio” di Karan Johar

domenica, giugno 24, 2012

Precaria anche la mente

In questo blog, che da molti anni accompagna la mia vita, mi sono trovata più volte a discutere di perdita del lavoro. Anche noi ultraquarantenni siamo una generazione di precari. Noi che non abbiamo vinto concorsi, noi che per i casi della vita abbiamo cambiato più volte lavoro, anche contenti di farlo per certi versi, noi che vorremmo essere trattati come professionisti, noi che abbiamo un sacco di competenze, perfino noi, che siamo così forti, abbiamo maturato un senso di smarrimento. Perché invece non siamo né carne né pesce. Ecco io oggi abbasso le armi. In un mondo che non considera il merito ma solo il tornaconto, una persona come me che lavora con competenza e passione viene fatta fuori perché la competenza e la passione non interessano a nessuno. Non fanno vincere, né guadagnare. Sono accessori pressoché inutili. Il prodotto non conta niente. E io - per quanto impalpabile sia quello che produco, poiché attiene più direttamente alla sfera dell'elaborazione concettuale che a quella di una roba che puoi tenere in mano -, il mio prodotto lo faccio con cura, competenza e passione. Diciamo che oggi mi sento come un operaio qualificato rimandato a casa ma non perché il suo lavoro non va bene, ma perché non serve più che lo faccia. Semplicemente. E il tutto condito da complimenti, tipo ah come hai lavorato bene, sei stata fondamentale, però grazie e arrivederci. E la filosofia del precario consapevole pare che sia diventata quella che bisogna lavorare bene e fino alla fine del contratto. Perché poi troverai qualcos'altro per altrettanto poco tempo che ti lascerà col culo per terra in meno tempo che non si dica e dovrai sempre avere l'orgoglio precario di dire sono un libero professionista, libero di andare e venire, più di andare che di venire. Io di questo cosiddetto orgoglio precario me ne frego. Io vorrei solo che funzionasse il principio che quando sei lavoratore precario, se lavori bene puoi continuare a lavorare. Che se anche non ti rinnovano il contratto nel posto in cui stai per x ragioni, appena esci fuori ne hai già un altro pronto. Allora e solo allora si potrà parlare di flessibilità. Non mi frega di avere un contratto per la vita. Io voglio poter lavorare. Voglio poter produrre. E questo, invece, mi pare che non interessi più a nessuno.

lunedì, giugno 04, 2012

Il menarca del 2000.

Le mie riflessioni sulla maternità rischiano di essere muffite vista la frequenza con cui ne scrivo attualmente sul blog. Dopo inizi scintillanti - all'epoca faceva tanto figo parlare di gestione dissennata di pargoli - adesso mi ritrovo con una quasi ottenne già in crisi preadolescenziale e una gigantessa di 5 anni che piange per qualsiasi affermazione possa sentire come anche solo vagamente lesiva della sua dignità. C'è da fare una premessa, il cui contenuto mi si è fatto sempre più lucido davanti agli occhi, e cioè che pare che io sia come una gatta, nel senso che mi faccio i cavoli miei e ogni tanto torno a riscuotere qualche coccola. Di base una su cui non si può contare. E se è vero che i bambini percepiscono tutto, le mie avranno chiara in mente questa cosa e sapranno cavarsela in ogni momento. Visto che mamma gatta ha insegnato loro a leccarsi ben bene le ferite. 
Detto questo, ritornerei a bomba su riflessioni più attinenti all'essere madre in questo decadente inizio di XXI secolo. E' evidente che noi quarantenni del secolo scorso, che abbiamo sviluppato a undici anni, ci troviamo di  fronte, dopo trent'anni, bambine assai più sveglie di come eravamo noi, senza peli sulla lingua, senza freni e assai disinibite. Quindi, secondo me, potremmo pure essere di fronte ad un comportamento preadolescenziale di bambina di otto anni che proietta sui genitori - e in particolare sulla madre - le insoddisfazioni e le frustrazioni di un corpo da bambina in una mente da quasi adulta. Obiettivamente non mi sono ancora documentata sulle crisi preadolescenziali, pensavo di dover aspettare ancora un po'. Ma certo è che i tempi sembrano accelerati ed io, che ancora sto godendo di non dover più cambiare pannolini, dovrò forse presto cominciare a comprarne di altro tipo per la mia pargoletta. E  soprattutto mi viene in mente la mia crisi preadolescenziale, che si è prolungata nell'adolescenza e poi nella giovinezza e poi nell'adultità e di cui ancora oggi sento il peso (si lo so, magari qualche capatina da un bravo psy non sarebbe male, ma continuo a rimandare, e ora questa storia della gatta mi ha convinto che non serve più). Devo assolutamente correre ai ripari, prima che anche la frignona di cinque anni cominci a piantarmi cartelli in giardino con rivendicazioni identitarie che non potrò più arginare. 
Un consiglio, bambine mie: siate gatte come la mamma. Lei ci ha messo tanto a capire che questa era la formula ideale mentre voi potreste trarne già da adesso tutti i benefici possibili.

lunedì, maggio 14, 2012

Sullo sradicamento

Certo il titolo può ingannare, magari penserete a roba forte sulla depauperizzazione dell'individuo oppure sulla perdita delle radici nella fretta del mondo moderno. E invece è tutto molto più terra terra. Dicevo nel post precedente che avevo desiderio e urgenza di esternare un certo numero di riflessioni. La prima e più urgente di tutte è quella sul potere taumaturgico della depilazione. Sradicare da sé estroflessioni pungiformi. Ecco. Mi pare un buon punto di partenza.  Ecco, io da un po' di tempo mi sto accanendo contro tali difformita della umana cute, in maniera sicuramente più accurata e proterva del solito. E mi sono interrogata chiaramente su cosa potesse significare a livello del mio subconscio più profondo, perché nulla, delle azioni che fuoriescono dal nostro essere, può essere lasciato al caso. La mia conclusione, dopo molti e approfonditi ragionamenti, è che l'appianamento del bulbo pilifero è necessario alla fuoriuscita dell'identità femminea e in particolare, evidentemente, della mia. Quanto più è sterminata la distruzione della foresta, tanto più emerge la femminona che è in me. Mi sembra un'ottima proporzione. Certo poco ecologica, messa così, ma senza dubbio rappresentativa del mio stato attuale. Non do tregua al pelo che mi insegue.

domenica, maggio 13, 2012

Volevo dirtelo

Io ci avrei tutta una serie di riflessioni sulla depilazione, sulla maternità, sul tradimento, sul maschio medio italiano, sugli arti rotti, sulle malattie esantematiche, sulle persone che organizzano la vita degli altri senza che gli altri ne abbiano manifestato desiderio, sulle medicine omeopatiche e sull'ipocondria, ma soprattutto sulla necessità di mangiare almeno due verdure a pasto. E' tutta una questione di capire da quale punto di vista guardare. Devo urgentemente scrivere un libro. Vietato autofinanziarsi. Ne va dell'ego ipertrofico. Parola d'ordine: creare aspettative.

giovedì, maggio 03, 2012

Lubrìficami e ti dirò di che morte devi morire

Il problema, quando si ha un'idea da comunicare, è quello di renderla chiara, intellegibile a menti diverse ed esterne dalla propria. La mia attenzione oggi si è concentrata su una frase letta su un libro, che potrebbe essere un qualunque libro, eccetto che l'autore è sicuramente miliardario, quindi in linea di principio il suo pensiero è parecchio diffuso in giro per il globo. Ed è una frase che mi ha aperto un mare di interrogativi inquietanti, perché di fatto si presta ad una serie di interpretazioni - anche opposte tra loro - offrendo la sponda a discussioni che nella società odierna dovrebbero moltiplicarsi in maniera esponenziale almeno proporzionalmente all'aumento della durata media di vita. 
  
La vecchiaia è la vaselina della credulità.

Lo so che siete ammutoliti. 
Ma ammetterete che la frase è d'impatto. 
Quasi come - chessò - La pazienza è la virtù dei forti. E potrei fermarmi qui.
Ma c'è un contrasto troppo forte. Vecchiaia e Vaselina sembrano essere due termini almeno semanticamente incompatibili. Nessuno di noi associa neanche per sbaglio "vecchiaia" e "vaselina" nel suo immaginario per fervido che sia, a meno che non sia un incallito gerontofilo, ma insomma facciamo che qui sono eventualmente pochi. E, ad aumentare il divario, l'altrettanto evidente incompatibilità di sfera semantica con il terzo termine, "credulità". Al massimo possiamo immaginare che un vecchio sia credulone qualora permanga in uno stato di senile rimbambimento. Allora potremmo dire che "La credulità è la vaselina della vecchiaia", vale a dire che il fatto di essere o diventare creduloni facilita l'essere vecchi, aiuta, favorisce la condizione di col* che è in là con gli anni e quindi prossim* alla fine della propria esistenza. Meglio essere creduloni che agnostici. In vista di un eventuale aldilà. Un'attitudine mentale, quindi, una predisposizione che aiuta a sopportare la vecchiaia, sopportazione metaforicamente indicata - forse un po' rozzamente, ne convengo - con unguento che abitualmente coadiuva e facilita certo tipo di rapporti sessuali, presumibilmente non troppo praticati da persone anziane. Questo ribaltamento avrebbe, direi anzi che ha, un certo qual senso.
Ma concentriamoci sulla frase che lo scrittore miliardario enuncia e che ci preme interpretare per cavarne un senso compiuto, per impresa impossibile che possa apparire allo stato attuale della riflessione epistemologica e filosofica mondiale. Secondo me il senso è lo stesso della frase precedente e cioè che la vecchiaia è facilitata, coadiuvata, accompagnata dalla credulità, per essere sopportabile. In questo caso la vaselina è proprio ciò che facilita la sopportazione del tramonto della vita. Trovo assolutamente assurda, però, la sintassi di questa frase. A meno che non esista, a mia insaputa, un'altra accezione di vaselina, alla quale mi rimetterei chiedendo lumi. E questa costruzione mi disturba, mi fa perdere tempo e soprattutto mi fa pensare brutte cose sulla vecchiaia, tipo che per essere più pronta ad affrontare la vecchiaia mi dovrò munire di un tubetto sempre pronto all'uopo etc etc. E insomma, come tutte le massime, nessuno le capisce veramente e soprattutto nessuno ci metterà mai sotto la firma, sapendo magari che potrebbe capitarmi tra le grinfie.

mercoledì, maggio 02, 2012

Miraggio di maggio

Come al solito vince la visione maschile e maschilista della musica. Se può essere vero, come dice mio marito, che la musica, la buona musica viene consumata maggiormente dai maschietti (gran cazzata, ma certe volte bisogna lasciar finire il discorso), è assolutamente pretenzioso e abusato pensare che la buona musica possa essere interpretata solo da uomini. Sul palco del 1° maggio ieri c'era la musica degli uomini. Canzoni di uomini, interpretazioni di uomini, direzioni artistiche e orchestrali di uomini, presentazioni di uomini. E' ovvio, altresì, che nei momenti di crisi si diventi conservatori, ma che ci vengano proposti come gruppi italiani di punta (anche in polemica a quelli - condivisibilmente miseri - presentati a Sanremo) solo gruppi composti da uomini, gruppi che mi piacerebbe sapere quante copie vendono o anche solo quante copie dei loro dischi vengono scaricate, o anche solo quando hanno fatto il loro ultimo disco e che la miglior musica in circolazione in Italia debba essere identificata con ska e finto reggae o anche pretesa taranta, allora siamo messi male. Che i dodici migliori brani del rock di sempre (tra cui - ovviamente- non c'è nessun brano scritto da una donna, chessò, magari inserire una Janis Joplin al posto di Strawberry Fields eseguita da Elisa avrebbe fatto un po' più rock, anche se mi dicono dalla regia che Strawberry Fields sia il 45 giri più venduto nella storia del rock, ma diciamocelo, i 45 giri non si vendono più ormai da vent'anni, quindi ogni comparazione su questi ultimi è priva di senso) siano stati interpretati da quattro cantanti italiani, tra i quali Samuel Romano dei Subsonica che storpia in maniera indelebile il capolavoro del Duca Bianco, Heroes, pensando che qualche gridolino lanciato dal microfono sia il marchio dell'arte, fa cadere le braccia. Sono tutti convinti di essere grandi fighi, grandi musicisti, grandi cantanti. Ma insomma ci sono dei momenti di Almamegretta in cui la noia diventa dura da vincere, momenti in cui vedi Mannarino e pensi che ha copiato Capossela e Manu Chao, li ha messi in uno shaker e ci ripropone l'avanzo del cocktail (a parte la fortuna che ha nell'avere ottimi musicisti). E diciamola tutta, ma è normale che un gruppo come i Subsonica faccia 2 cover 2 su cinque brani eseguiti? Vogliamo un'alternativa a Sanremo? Mettiamo persino Gino Castaldo a consulente musicale? Ma tiriamo fuori qualcosa di memorabile, cazzo.
E poi toglieteci presentatori (???) come Pannofino, per pietà. Ha detto a Pagani, testuali parole: "Pagani se la suona e se la canta". Ma mandatelo a fare il cammeriere (con 2 M) alla pizzeria l'Obitorio che sta a Viale Trastevere, sono sicura che farà un effettone sugli avventori, ma in diretta nazionale no, per pietà. Non me la potete considerare un'alternativa ad una conduzione di Sanremo questo bifolco che quando fa il doppiatore si trasforma, ma quando fa l'attore rimane irrimediabilmente un se stesso volgare e cialtrone (l'interpretazione in Boris è lui, lui è proprio così, non interpreta, lui è). L'unica, pur non eccessivamente incisiva, che ha portato una vaga ventata di professionalità era la Virginia, quasi completamente fagocitata, però, dal rustico Pannofino (da notare, chissà come mai, che tra gli autori della kermesse, compariva anche il nome del fratello di Pannofino, Lino, e della moglie che ha recitato dei brani durante la serata, nonché tutta la troupe di Boris, vabbè).
Interventi degni di nota, visto che parliamo di musica, sono stati ovviamente Il Teatro degli Orrori, semplicemente perfetti, e Caparezza, vero mattatore, che comunque avrebbero potuto fare uno sforzo ed eseguire insieme la bellissima Cuore d'oceano contenuta nell'ultimo album dei TDO. Oggi ne avrebbero parlato tutti i giornali e sarebbe stato sicuramente meglio di un'insulsa cover di Bowie.
E poi una preghiera a chi di musica ne capisce, tipo Castaldo, dopo tanto parlare di cosa va bene e cosa no, da te ci aspettiamo la perfezione. La perfezione si raggiunge senza strafare. Dovresti saperlo. E poi, signori miei, sembra che solo quattro donne esistano nella musica italiana: Elisa, Noemi, Nina Zilli, Marina Rei. Loro sono solo quattro, ma i restanti cinquanta maschi (e forse erano anche di più), tranne qualche rara eccezione, mi hanno annoiato a morte.
Ah, dimenticavo, Pannofino è riuscito anche a storpiare la dizione di Shine on you Crazy Diamond. Castaldo poteva fargli un rapido corso di storia del Rock, visto il tenore della serata.
E, tanto per chiosare, una manifestazione sul lavoro piena di giovani organizzata dai sindacati, dove praticamente i giovani o non hanno lavoro o sono precari quindi spesso NON iscritti ai sindacati, questa sì che è proprio una barzelletta. Magari un paio di pensieri a riguardo non farebbero male al lavoro italiano.

mercoledì, marzo 14, 2012

Apparentemente

Oggi una signora, che ho aiutato qualche tempo fa a tirare fuori la jeep dal pantano del parcheggio della scuola, mi ha regalato un paio di orecchini fatti da lei, per ringraziarmi di essere rimasta mezz'ora a spingere quel mezzo così grosso, impossibilitato a liberarsi dal fango, due ruote giganti impotenti, motore roboante a vuoto...quel mezzo oggi sembra una metafora del mio stato d'animo: io sono il gigante impantanato e sto cercando disperatamente qualcuno cui regalare un paio d'orecchini per avermi tirato fuori dalla melma.
Ma non tutto è come appare.
Io non sarei mai riuscita a tirare fuori la jeep. Di fatto è comparso un camion, con tanto di corda, e con un piccolissimo strattone l'ha tirata fuori. 
Quindi, oltre a dover cercare qualcuno cui regalare orecchini, devo anche trovare qualcuno target oriented, cioè oggettivamente efficiente. E a costo zero. 

domenica, marzo 04, 2012

Distorsionismi

Il problema sempre e comunque è la mancanza di informazione, quando non - addirittura - la distorsione delle informazioni da parte di chi avrebbe il dovere invece di trasmetterle correttamente. Ed è un problema enorme che coinvolge qualsiasi aspetto della nostra vita sociale e politica e financo elettronica. Siamo bersagliati da centinaia di informazioni che spesso ad un controllo si mostrano inesatte, parzialmente ma anche totalmente. Ha detto tizio che ha detto caio. Oppure, come nel caso lampante dei No-TAV, vengono chiaramente manipolate, facendo apparire i manifestanti come dei mentecatti che si buttano da un traliccio dell'alta tensione perché non hanno niente di meglio da fare, e non perché - magari - con l'esproprio la loro vita va in frantumi, visto che fanno i contadini. Per non parlare di tutta la storia dell'amianto, ma no cosa vuoi che sia qualche mesotelioma in più. Non è bastato quello che è successo in Piemonte, con tanto di condanna. Per non parlare di quello che ci viene fatto passare come l'incredibile miracolo europeo di raggiungere Lione da Torino in soli cinquanta minuti invece che in un'ora e mezza. Sempre troppo, rispetto alla velocità dei neuroni - aggiungo io. Non si parla invece di chi va a guadagnere con questa mega - opera. Di chi ha interesse a potenziare i trasporti su ferro, anche a costo di distruggere un ecosistema ma anche un'economia. Noi non impariamo mai niente. La realtà distorta ci appare sempre vera. Come se la lente che i giornalisti (a onor del vero "certi" giornalisti) o i politici applicano, non fosse deformante. Io credo che oggi, più che mai, il cittadino abbia il dovere morale di informarsi da solo. Ma chi fa questo lavoro per mestiere dovrebbe rendersi conto maggiormente dell'influenza che la sua lente ha sugli eventi e pesarne le conseguenze. Ecco perché non bisogna accontentarsi delle informazioni che riceviamo, ma andare a scavare a fondo, almeno per quanto ci interessa. 
E il fondo sarà sempre meno oscuro della superficie, perché molto sarà venuto a galla.

*fondamentale contributo a questo sproloquio è stata una discussione con Marco, di quelle fruttuose.

giovedì, febbraio 23, 2012

Vita da sballo

Sono una donna divisa. 
Una chiara senza il suo tuorlo.
Una meringa, in parole povere.
Polvere senza panno
pulcino senza uovo
nido senza uccellino.
Una noia, in parole povere.

lunedì, febbraio 13, 2012

Errore fatale

Mi sento pallosa quarantenne in bilico tra un pulsante passato e un futuro anteriore tutto da decidere.
Vorrei ricominciare a mettermi le lenti a contatto. Occhi neri.
Perché i miei occhi non si vedano attraverso spesse lenti da secchiona.
Anche perché - e sfatiamo pure questo mito - io secchiona non sono mai stata. Ho solo vissuto di rendita. Il fatto di aver passato i compiti in classe ad un numero incalcolabile di compagni non fa di me la prima della classe. E il mio metro e ottantatre non mi ha fatto mai sedere al primo banco.
Oggi ho avuto tanta nostalgia del mio amico francese, con il quale passeggiavo per negozi e locali trendy di Parigi, millantandomi la modaiola che non ero, che non sono mai stata e che probabilmente non sarò mai.
Mentre mi scapicollavo con le mie galosce da neve attraverso la principale arteria commerciale della capitale, negozio dopo negozio, oggi pomeriggio ho visto la luce: IO SONO QUI PER SBAGLIO. 
Dovevo nascere su Vogosphere.

lunedì, febbraio 06, 2012

Post concettuale abbastanza serio

Ho un problema di metodo. Chissà perché alcuni termini, di per loro densi di significato, vengono decontestualizzati e svuotati di ogni senso. In particolare mi riferisco a termini di per loro vaghi utilizzati da gruppi femministi, con pretesa di indicare realtà estremamente complesse e articolate. Un esempio tra tutti, che sicuramente è parlante per molte, il termine RETE. Fare rete è un'espressione densa di contenuti, ma anche volatile se non si riesce a focalizzare su modalità, strumenti e obiettivi. Molte utilizzano questa espressione,  privata di contenuti, come un viatico per dire tutto e niente. Il concetto di FARE RETE implica di per sé il valore dei contributi apportati da ogni componente della rete. Non dovrebbe esserci prevaricazione, dirigismo o assolutismo. La rete (di qualunque "cosa" essa sia composta) ha bisogno di confronto, di contributi teorici e pratici, di idee e di messa in comunione di esperienze pregresse che hanno già dato buoni risultati, quelle che vengono chiamate "buone prassi". Se non ci sono almeno alcuni di questi ingredienti la rete non esiste, rimane un contenitore vuoto di senso e di applicazione. Allora siccome in questo momento lavoro su un sistema di reti di associazioni ed enti locali che funziona e che avanza grazie al metodo, mi scoccia alquanto, quando mi capita di partecipare a progetti ideati da donne per le donne, che un progetto di rete tra donne e associazioni di donne non riesca a partire perché vengono a mancare i suoi presupposti fondamentali e cioè la condivisione di contributi, la sintesi, la diffusione di idee e soprattutto la sinergia tra le diverse componenti, che presuppongono tutta una serie di atteggiamenti a sorreggere ambiziosi obiettivi, come ad esempio rispetto dell'opinione dell'altra, inclusione delle nuove arrivate, capacità di considerare le novità emergenti da un dibattito in corso. Molte donne, purtroppo, non capiscono che si può avanzare solo se si accetta che i contributi di tutte siano sullo stesso piano. O si parte con un progetto più modesto, poche persone che lo pensano e cercano di proporlo a tante altre e realizzarlo, oppure se si chiama un progetto "La rete delle reti" (già di per sé assai pretenziosa come denominazione) e si coinvolgono centinaia di donne per costruirlo è necessario sapere che chiunque ha diritto di discutere sulle premesse in fase di fondazione e su eventuali documenti che si vogliano acquisire come manifesti. Ritorno all'incipit: è una questione di metodo. Rete non è una cosa che si produce per il solo fatto di nominarla.

venerdì, gennaio 20, 2012

Liberalizzatemi il futuro

Noi che ci troviamo a questo punto della vita che abbiamo da poco superato i quaranta, noi che ci hanno fottuto le speranze i desideri il futuro in poche parole la vita intera e anche svariate volte nel corso della stessa, noi che siamo figli di un'epoca di mezzo che non è il boom economico che non è ancora la crisi noi che non siamo più giovani anche se ci sentiamo tali noi che non siamo vecchi perché la vecchiaia è ormai parecchio oltre i settanta e noi non andremo mai in pensione noi che siamo poco adulti perché tiriamo sempre la cinghia venendo da famiglie dove peraltro nemmeno abbiamo fatto la fame noi che abbiamo conosciuto un discreto benessere e adesso contiamo i centesimi nel portafoglio noi che ci siamo fatti un mazzo così a scuola e che manco ci chiamano dottori noi donne che figuriamoci se ci chiamano dottoresse noi che crediamo che gli uomini e le donne sono uguali ma che sappiamo che di fatto non è così noi che ci sentiamo ancora ragazzi dentro ma che siamo madri e padri di figli che ci richiamano a doveri anche faticosi e a volte poco sopportabili perché forse ci sentiamo poco adulti poco responsabili e soprattutto poco responsabilizzati con questi lavori a tempo senza riconoscimenti senza denaro senza prospettive tutto questo è agghiacciante e lo è tanto più in quanto io lo vedo coi miei occhi senza veli senza trucchi e senza inganni e soprattutto non mi spetta nessuna liberalizzazione che mi possa salvare il culo a me, giovane quarantenne discretamente culona.

lunedì, gennaio 09, 2012

Far finta di essere sani

C'è una cosa in assoluto che detesto nel carattere altrui e che può essere senz'altro accumunata al concetto di falsità o addirittura esserne costola integrante. Avete presente l'utilizzo che viene fatto dell'ipocondria? Secondo me l'ipocondria è uno atteggiamento sociale. Uno non è ipocondriaco per se stesso. E' ipocondriaco per dirlo agli altri. Per comunicare uno stato (psico) fisico di prostrazione dovuta a (pseudo) identificata malattia invalidante il corpo, con l'obiettivo - nemmeno tanto nascosto - di negare l'invalidità parziale o totale della mente. L'ipocondria praticata per lungo tempo elimina dal soggetto in questione ogni collegamento (forse, peraltro, mai esistito) con la realtà circostante. Non consente più di comprendere concetti semplici e a tratti anche banali come: "distanza da altro essere umano", "opportunità", "tragicomico", o anche solo "comico". Si può dire, senza tema di smentita, che un ipocondriaco non riconosca più il tempo che passa. Che non abbia più nessun riferimento spazio-temporale-sentimentale se non il suo malato ombelico che vede il mondo  da una prospettiva molto bassa riportando inevitabilmente tutto ad esso. Non esistono più discorsi aulici, non esiste cultura, non esistono interessi, non esiste più nulla al di fuori di quel centro, reale e al contempo immaginario, del proprio corpo. E questo, c'è poco da fare, è indubbiamente invalidante. Ma non per il corpo di cui sopra, che vive proprio grazie a questo transustanziale equilibrio, quanto piuttosto per il mondo circostante. Tutti coloro che hanno la sfortuna di passare accanto a cotal cataplasma e ne subiscono le spire malefiche o semplicemente gli influssi pestilenziali conoscono il fenomeno di cui sto parlando. Gli ipocondriaci sanno di attirare la compassione altrui e ne approfittano in maniera scientifica. In questo senso parlavo di falsità. E "altrui" rimane invischiato in questo meccanismo unilaterale di "do et in cambio niente" dal quale è difficilissimo estrarre le proprie macerie. Perché si rischia di rimanere triturati da un ipocondriaco. Lui non muore di certo. 
Perché - e LO sfido a contraddirmi - l'ipocondriaco non è veramente malato.

lunedì, gennaio 02, 2012

Post della felicità

Che cos'è la felicità? C'è chi dice che vive nel tentativo di ottenerla. Che come l'acqua nel fiume passa e non riesce a durare più di un istante. Ma forse che questo istante di per sé non esiste? Si può dire, senza essere nel falso, che la felicità sia un istante? Ognuno di noi non ha forse vissuto almeno un istante di felicità? Io posso dire di averne vissuti tanti di istanti di felicità. Magari non periodi lunghi, ma sicuramente istanti parecchi. E penso che la vita di ognuno di noi vada avanti e possa continuare a farlo grazie a questi istanti, alla loro somma e alla loro unica e irripetibile individualità. La parola per sempre non contempla la felicità, e forse proprio per questo la felicità è così preziosa. Vive nell'attesa e nella ricerca. E questo ne costituisce il fascino. E più la si attende e più non si fa trovare. E' come Godot. Quando abbiamo smesso di aspettare si presenta, inattesa. E imprevedibile. E allora io ricercherò questo nel mio 2012. Senza fretta e senza drammi. E ci sta pure che non arrivi niente. In fondo è solo questione di un attimo.