lunedì, maggio 19, 2014

Brandelli di vita. Ma nel senso positivo.

Ritornare alle proprie origini è sempre un momento di passaggio e al contempo un approdo molto combattuto. Border line tra lacrime e sorrisi. E le lacrime non sono sempre per cose tristi, ma spesso per momenti felici che tieni dentro con nostalgia, o racconti che non hai vissuto ma che qualcuno custodisce con un affetto inimmaginato. La vita prende senso in questi brandelli di vita che qualcuno, altro da te, tiene dentro di sé, brandelli di tuo padre, tua madre, i tuoi nonni, i tuoi zii. I brandelli nobili, quelli che ricostruiscono una personalità, una nobiltà d'animo, una generosità, un'umanità che pensavi di custodire solo nel tuo cuore, ma di cui hanno beneficiato tantissime persone che con immutato affetto ne trattengono traccia nel loro cuore. E ogni volta si aggiunge un brandello. Allora non è un caso se ieri, mentre viaggiavo a destinazione di un paese nel nord del Lazio, il paese di mio padre, da lui immensamente amato, difeso, sempre abbracciato nei suoi pensieri opere e opinioni, mentre viaggiavo mi scendevano piccole lacrime di tenerezza. Quella tenerezza che si ha per l'amore, per le cose amate da chi si ama, non so se rende l'idea, ma è un concetto che io ho ben chiaro, tenerezza mitigata dal ricordo, dalle immagini nella testa e nel cuore, che mi porto dietro e dentro da una vita. Seppure la vita spesso ci separi, anche per ragioni inspiegabili, dai luoghi e dalle persone che amiamo, ieri ho capito che ci sono sentimenti che vanno oltre questa distanza. Sentimenti che è giusto coltivare e se non lo fai, se non rendi loro omaggio alla fine di una vita sei un traditore, sei un disumano, sei niente, hai vissuto invano. E' un concetto che mi risulta difficile da chiarire maggiormente. Diciamo che ieri qualcuno mi ha parlato di questi tradimenti. Ma ho anche (ri)scoperto cose che mi hanno fatto bene al cuore. E sono partita da lì con l'ulteriore certezza che mio padre fosse un grand'uomo, se ancora adesso, a distanza di tredici anni dalla sua morte, tante persone si ricordano di lui con parole di calore enorme e abbracci di autentica commozione. E tutto, intorno, ha più senso.

mercoledì, maggio 14, 2014

Taglio netto. E preciso.

Il mio cervello attualmente è impegnato in una serie di riflessioni sul virtuale. Quello stesso virtuale che si interseca con il reale. Con la vita di tutti i giorni. Quel virtuale che, grazie alla presenza di un pollice opponibile, ti consente di essere in collegamento con centinaia di persone che non vedi, non vedresti e non vedrai nella tua realtà di tutti i giorni. Con quelle informazioni mordi e fuggi che contraddicono in toto la tua passione per gli studi, per l'approfondimento, per le migliaia di libri che hai letto. Quelle informazioni che remano contro i cinque libri che hai sul comodino. Quelli che hai iniziato e da un po' di tempo non riesci più a terminare. Quel mordi e fuggi che provoca gelosia per un like sul post di qualcuno. Che ti fa sentire più o meno importante a seconda della popolarità che hai. E questo lo dico pur essendo io una persona "popular" nella vita reale. Una che ama stare al centro dell'attenzione. Una che sa sempre cosa dire quando è in mezzo alla gente, pur amando follemente il silenzio. Questa schizofrenia della presenza, questo sapere tutto di tutto/tutti, perché con un click googli chiunque, diventa sempre più assenza di vita. Nella mia testa almeno. Non conta più quello che sei, quello che vuoi, quello che sogni. Ma è tutto trasposto in una vita parallela. Dove raggiungi qualsiasi cosa e diventi sicuro di essa in cinque secondi. Quando per studiare Platone io ci ho messo tre anni, il primo che arriva ne sa immediatamente più di me; mentre quando fai un commento articolato senza citare siti, ma scrivendo solo parole che derivano dai tuoi studi, dalle tue conoscenze, che hai elaborato nel corso degli anni e fatto tue e sono diventate parte del tuo modo di pensare, di guardare il mondo, di analizzare e affrontare gli eventi, quel commento articolato viene immediatamente riportato al livello di saccenteria, del che cazzo ne sai tu su wikipedia c'è scritto altro. Nella vita reale una persona così io non la guardo più nemmeno. Nel virtuale queste persone si possono ignorare, si possono defolloware, si possono bannare. Ma rimane un senso di impotenza, una mancanza di riconoscimento, una ferita (virtuale anch'essa?) che rende questa schizofrenia dei rapporti portatrice di infelicità e inadeguatezza. Parlo per me ovviamente, e per il momento storico che sto vivendo. E' come se questo livellamento di conoscenze rendesse inutile tutto il percorso che ho fatto finora. 
Forse, per risolvere la questione, dovrei tagliarmi il pollice opponibile.