venerdì, febbraio 26, 2010

Sala d'aspetto

Nella solita sala d'aspetto del solito medico di base dove aspetti per ore il tuo turno, disciplinatamente come ti hanno insegnato i tuoi genitori e non come tutti quelli che tendono a passarti avanti per il solo fatto che magari stanno per morire oppure sono rappresentanti del farmaco oppure ancora stanno per perdere l'autobus, disciplinatamente aspetti il tuo turno - dicevo - ed in quel mentre ti casca l'occhio sulla dodicenne di fronte tutta ciccia brufoli e apparecchio ai denti che con sorriso bovino si diverte - evidentemente in maniera assai sadica - a spiegazzare e poi riallisciare le pagine del suo libro di scienze e non sei solo tu a sobbalzare accorgendotene, ma anche un congruo numero di persone e una volta tanto non c'è discussione c'è solo quell'unanimità cui tutti sospiriamo durante le pallose e lunghissime riunioni di condominio, l'unanimità della condanna per l'oscenità di quel gesto, di quel disprezzo per un oggetto - e l'idea che c'è dietro di esso - che sicuramente con gli anni aumenterà trasferendosi - perché no - sulle persone, ma che tutto sommato è già disprezzo per le persone, è veicolo di disprezzo, è messaggio lanciato al mondo; e a lei, che interrogata risponde che la maestra di scienze le ha già detto di non fare quel lavoro in classe e quindi lei per sfregio lo fa fuori, sembra invece totalmente normale una simile operazione; a quel punto io mi vorrei alzare e dire a questa presuntuosetta devastatrice ma dove diavolo sono i tuoi genitori? ma tua madre e tuo padre l'hanno visto il libro di scienze ridotto così? E non ti hanno detto niente oppure chessò dato quattro sonore bussolate in volto tanto per schiarirti le idee o per trasmetterti l'importanza di qualche - e dico almeno qualche - valoretto nella vita che non sia il tuo stramaledetto cellulare e quel ridicolo apparecchio che porti ai denti? (io l'ho portato l'apparecchio ai denti all'età sua e mai e poi mai mio padre che mi accompagnava tutte le settimane dal dentista mi avrebbe permesso un comportamento simile); io ovviamente non ho avuto coraggio di fare una simile scenata davanti a tutti; però appena la dodicenne è entrata dal dentista l'unanimità è stata raggiunta di nuovo: nonostante la sua faccia da schiaffi - la colpa era inequivocabilmente dei genitori (e non so cosa mi abbia trattenuto dal tirare in ballo ancora una volta il nome del nostro esimio Pres.Cons, che comunque c'entra sempre anche lui).

giovedì, febbraio 25, 2010

Ce l'ho, mi manca

Il mio medico: "Lo vede quello zerbino?"
"Si", rispondo io.
Il mio medico: "Bene, con i risultati delle sue analisi lei dovrebbe essere come quello lì. Sono un po' preoccupata".

A voi ve l'hanno mai detta una cosa del genere?
E' vero che i valori del mio emocromo erano più sballati di Morgan, però cavolo sentirsi dire che è stupefacente vedermi in piedi, mi pare un po' forte come affermazione.
E ovviamente, appena uscita da lì mi sono sentita tutti i sintomi di tutte le più impronunciabili anemie.
Ma io sono forte. Sono in piedi, dopotutto. Nella mia vita sono sopravvissuta a 5000 piastrine, praticamente alla disintegrazione del corpo umano. Col mio metro e ottantatre troverò anche stavolta il bandolo della matassa.
Alla grande. Sì sì, alla grande.
Non sono per nulla tesa.
Per nulla.

lunedì, febbraio 22, 2010

La molla fasulla

La mia teoria è: tutti abbiamo una pappamolla dentro.
Tutti abbiamo un desiderio di nullafacenza, di stanchezza interiore, di non essere ligi al nostro dovere, di scappare dalle nostre responsabilità.
Io, quando ero giovane, mi chiudevo nella mia cameretta e leggevo, leggevo, leggevo, finché (s)finivo il libro. Mentre mia madre mi commissionava molteplici lavoretti casalinghi, che io disattendevo adducendo pretesti di studio.
Oggi la mia pappamolla si manifesta facendomi perdere in lunghissime telefonate serali con le amiche, mentre tutto intorno esplode: le mie figlie devastano casa, tirano fuori per l'ennesima volta tutti i colori e tutti i fogli, mentre la testa di mio marito scoppia ed egli mi guarda con un misto di odio e di supplica. Ma la mia pappamolla non si fa intimidire. E' cento volte meglio mangiarsi una mela mentre si è al telefono a spettegolare piuttosto che nettare le terga di un pargolo.
Ne converrete con me.
Poi, certo, quotidianamente questa pappamolla viene surrettiziamente rimpiazzata da un assurdo senso del dovere che infardella tutte i momenti della giornata.
Anche se io so che lei è lì.
Immarcescibile amica.

mercoledì, febbraio 17, 2010

Mitopoiesi familiare

Comincerò col dire che mia sorella si è beccata una trave in testa nella sala d'attesa di un ospedale mentre accompagnava mia madre a fare una visita. Possiamo dire che ha avuto la via preferenziale per il pronto soccorso e siamo ancora qui a raccontarlo.
Ma in realtà oggi vorrei parlare di Mia Madre (che fregerò, per rispetto, della maiuscola). Ella attira i medici come il miele un orso. I medici l'adorano, ella è calda, burrosa, materna. Ispira fiducia. Cosa che invece dovrebbero fare loro.
E in tutto il bailamme che è succeduto alla trave in testa della peccatrice, Mia Madre era vezzeggiata e coccolata dal fior fiore dei professoroni che la circondavano. Mentre a quella poveraccia di mia sorella l'operaio, colpevole di incuria, non ha nemmeno chiesto scusa.
Mia Madre, leggermente ipocondriaca - ma che non esca da questa sede per carità!- possiede l'innata capacità di farseli amici, i medici. Anche quelli che incontra per la prima volta. Tutti si profondono in inchini innaturali, in lodi sperticate: insomma io sono arrivata alla conclusione che Lei sia il paziente perfetto. Quello con la giusta dose di bisogno di essere rassicurato, quello che segue alla lettera le istruzioni, quello che precede a volte addirittura la diagnosi per quanto osserva se stessa e si conosce, quello che mi-sa-che-quella-correntella-che-ho-preso-ieri-mi-ha- indotto-questa-brutta-tosse ma adesso ci pensi tu a darmi le medicine giuste anche se io intanto ho preso questo, questo e quest'altro.
Mia Madre è mitopoietica. Nel senso che il mito si fonda con Lei. Lei conosce (bene!, in amicizia, intendo) tutte i pasticceri del quartiere, esce a cena con (quasi) tutti i medici che la curano, storia di mantenere i rapporti, e a quelli con cui non esce a cena regala favolose scatole di marrons glacés o pandori ripieni a Natale ed in generale in tutte le feste comandate. Mia Madre sa bene cosa sia la riconoscenza e come questo sentimento si coltivi. Mia Madre non ha paura di stare male. Per Lei è quasi un sollievo passare da un appuntamento all'altro. Lei non è come noi comuni mortali che smadonniamo ogni qual volta dobbiamo cacciare di tasca il centone per la visita o peggio quando telefoniamo alla Sanità per prendere un appuntamento che ci danno tra vent'anni. Lei vive una placida malattia intervallata da sanità. Io la adoro. Adoro la sua capacità di farti partecipe dei suoi mali. La adoravo un po' meno quando mi costringeva, da adolescente, a farle massaggi sulla schiena dolorante dandomi tutte le istruzioni perché ciò le recasse il massimo del sollievo (con il massimo della mia fatica). Ma tutto questo è ormai entrato nel mito. Forse anche la mia stessa esistenza è mito. Infatti non credo di avere mai scritto questo post.

lunedì, febbraio 15, 2010

Presumo, dunque sono

Io sono una donna presuntuosa.
E potrei fermarmi qui.
Ma ho alcune cosette da rivendicare in proposito.
Se significa smazzarsi dalla mattina alla sera, prevedere i bisogni di tutta la famiglia, avere delle idee in continuazione - castrate da chi magari è meno sognatore -, pensare che tutto quello che si fa ha un senso per il semplice fatto che siamo qui ed ora, prevedere il futuro - sì, avete letto bene -, prevedere il futuro con i dati alla mano, sognare - cazzo! - sognare, permettersi un'alzata di testa ogni tanto e far fuoriuscire dall'orifizio buccale motti di sfottò o di ironica presa in giro, pensare di avere le idee chiare su alcune cosette, mentre intorno è tutto un fluttuare di incertezze, avere la certezza che tutti i nodi prima o poi verranno al pettine perché il proprio comportamento è retto ed onesto e non potrebbe essere altrimenti, lasciarsi indietro le persone che ci hanno fatto soffrire ingiustamente con rimpianto per gli affetti perduti ma con la sicurezza di essere nel giusto, cercare di tendere al meglio, amare le cose belle, odiare l'ipocrisia e i non detti. Se questo significa essere presuntuosa, ebbene sì, lo sono e lo rivendico.
E ti dirò di più: non ne trovi un'altra così.
Tientelo per detto.

giovedì, febbraio 11, 2010

Progettualità

Dai, si, andiamo alla riunione di classe, con tutti i genitori a sentire cosa c'è di nuovo per questi pupi che l'anno prossimo affronteranno il primo anno di elementari.
Ora i bambini di 5 anni fanno, pre-lettura, pre-scrittura, pre-calcolo, pre-tutto.
Sanno disegnare insiemi maggiori, minori, equivalenti o equipotenti. Mentre io sono talmente vecchia che gli insiemi non li avevano ancora scoperti.
Hanno una perfetta consapevolezza della loro identità, del loro posto nel mondo, nella famiglia, nella scuola. Sono miniature di ominidi perfettamente funzionanti. Si baciano anche sulla bocca.
Allora insomma ci troviamo con tutti questi genitori, tutti grossomodo ansiosi nei confronti della nuova scuola che i figli si troveranno ad affrontare, tutti ugualmente protesi verso le maestre nel tentativo di carpire qualche segreto sulla futura composizione delle classi. Ma il momento clou si raggiunge durante l'esposizione del cosiddetto "progetto di continuità", che sarebbe un progetto comune alla materna, alla primaria e alle medie dello stesso plesso scolastico. Ora, di per sé non ci sarebbe nulla di strano. Codesto progetto dura due anni. Uno era l'anno scorso: favole del mondo. Quest'anno tocca ai giochi del mondo. Il libro che i nostri pupi si troveranno ad analizzare è il rinomato "Libro della giungla" noto ai più come un testo in cui si esplica il gioco in tutte le sue molteplici sfaccettature, nevvero? Ma tutto questo solo dopo aver esaminato il gioco in tutti i continenti. Epperò, siccome l'è dura fare un gioco per ogni continente, ne prenderemo uno italiano (o guarda caso!) e i bambini lo costruiranno con le loro manine. Molto casualmente lo scheletro di codesto gioco (un elefante alla cui proboscide si infilano anelli colorati) è già stato fatto dal volenteroso marito di una delle insegnanti. Sicché i nostri bimbi, oltre ad imparare tutti i segreti della giungla, avranno solo da colorare l'elefante e la sua protrusione, esprimendo al meglio il loro talento creativo. A me, sinceramente, come progetto, pare un po' tirato per i capelli. Cioè mi dà più l'aria di un progetto cui servirebbero cinque anni per essere sviscerato e correttamente realizzato...ma insomma, visto che abbiamo di fronte ominidi quasi perfetti...

venerdì, febbraio 05, 2010

In love

"...o forse si stava avvicinando a quella condizione di vulnerabilità del cuore in cui anche i dettagli più minuti e banali assumono un carattere luminoso, trasfigurante." [Jonathan Coe, La casa del sonno]

Questa frase riassume appieno il fragile eppur così fondamentale percorso dell'innamoramento. Quell'attimo che abbiamo conosciuto mille volte (io un milione, continuo ancora adesso che sono sposata ad innamorarmi delle persone, uomini e donne, poco importa). La "vulnerabilità del cuore", che tante altre volte teniamo chiuso in una teca, gelosamente custodito per non farlo vedere a nessuno, nel caso dell'innamoramento si spalanca al mondo, alla persona che abbiamo di fronte rendendoci nudi all'altro e in fondo indifesi.
Ed è poi quella cosa che tutto sommato scompare in una relazione lunga, perché si tirano su tanti muri, pareti più o meno solide a delimitare il territorio. Quello che è mio è mio, quello che è tuo è tuo. E non ci lasciamo più andare all'osservazione stupita di quelle banalità che prima costituivano l'essenza pura del nostro avvicinamento all'altro.
La scoperta dell'altro, di un altro che ci attira, amico o amore.
Perché, secondo me, il meccanismo dell'amicizia è lo stesso: passa per la meraviglia, per lo stupore della novità della differenza, del particolare insignificante che però ci fa diversi l'uno dall'altra e ci fa piacere quella cosa che noi non abbiamo.
Io me li ricordo così, tutti i miei innamoramenti.
Ché poi l'amore è un'altra cosa.
E' più di viscere e meno di cuore. E' più fatica che leggerezza. E' più costruzione che osservazione.

giovedì, febbraio 04, 2010

Panic rum


Il panico.
Si sta scatenando nella stanza delle bambine.
In questo preciso momento.
Lui sta urlando. Fuori dai gangheri.
Loro strillano e strepitano.
Piangono anche.
E' l'effetto del nuovo letto senza sbarre.
Dell'ipotetica caduta che stanotte ci potrebbe far alzare.
Mio marito cerca di spaventare la piccola perché si spiaccichi addosso al muro e non si muova punto.
Io sto valutando che forse abbiamo fatto una stupidaggine a comprare un letto alto più di un metro perché potesse contenere un altro letto sotto.
Pensa il volo.
Quanto può fare male.

lunedì, febbraio 01, 2010

Rivangare

Ieri, in uno di quei pomeriggi deliranti passati a casa di mia sorella, abbiamo rivangato il giorno in cui mio padre è morto. Ma quelle cose che si fanno nei dettagli. Meticolosamente. Il classico lavoro certosino.
C'è da premettere che quel giorno io non c'ero. Ero a Parigi ed ero reduce da una serata di follie, a riprendermi dalla sbornia. Una di quelle serate di cui ogni attimo ti rimane fissato nella memoria per sempre e lì per lì non capisci perché.
Nell'ordine: alla festa di fine anno della mia società un mio dipendente mi aveva massaggiato i piedi, avevo dimenato le mie chiappe sulla pista come una matta, avevo cantato dal palco, con occhio di bue puntato, "Nessuno mi può giudicare" della Caselli, puntando il dito sulla mia capa (non sulla mia testa, ma sulla persona della mia diretta responsabile, verso la quale all'epoca avevo molte recriminazioni), e bevuto di conseguenza. Ricordo ancora che la mia società aveva affittato una sala nel ristorante "La Coupole" uno dei più noti di Parigi. Alle tre di notte ed ogni ora a seguire, poi, mi aveva chiamato la moglie del mio collega scapestrato, per sapere se avevo sue notizie visto che non tornato a casa né rispondeva al cellulare. La mattina dopo io avevo il giorno libero. Il mio collega non si presenta in ufficio e la moglie continua a bersagliarmi di telefonate. Poi ho scoperto che era andato a dormire da un'altra collega e aveva deciso di lasciare la moglie. Diciamo quindi una serata coi fiocchi.
Quel giorno, quindi, ero piuttosto malconcia. Per non dire assolutamente ko.
E quando mia sorella mi ha chiamato per dirmi che mio padre aveva avuto un infarto, forse né lei, né tantomeno io, avevamo realizzato la gravità della situazione.
Poi, ieri, come altre ducento volte nel corso di questi 9 anni, ho fatto ripetere a mia sorella per filo e per segno cosa ha fatto quel giorno, cosa diceva papà, cosa diceva mamma, cosa dicevano i medici. Ma tanto so che la prossima volta le chiederò la stessa identica cosa. Perché ogni volta sembra chiaro, ma sempre incomprensibile. E ogni volta si aggiunge un piccolo dettaglio. Questa volta era l'autocritica di mia sorella. Che non si è accorta che la situazione era grave e quindi non mi ha detto di prendere subito l'aereo. Ha detto che faceva autocritica. Io l'ho fatta anche un po' sentire in colpa: eh certo se tu mi avessi detto chiaramente come stavano le cose io avrei preso il primo aereo e forse sarei arrivata a Roma in tempo almeno per dirgli addio.
Tanto so che non ce l'avrei fatta. Papà è morto velocemente, per non essere di peso a nessuno. Imprevedibile come mai lo era stato nella sua vita.
Allora - dicevo - noi siamo una famiglia di rivangatori. Noi rivanghiamo e rivanghiamo il passato nelle sue mille sfaccettature. Ci piace rimestare, farci un piantarello, ridere tra le lacrime.
Ma, dico io, non è molto più sano ed efficace questo di una psicanalisi?