venerdì, settembre 26, 2014

Sull'orlo delle lacrime di felicità

Il luogo è un matrimonio. Quello di mia madre e mio padre. Il tempo è quarantotto anni fa. Il fatto è una foto. Di quelle con una minuscola cornice bianca, 23x18 cm, lucida, perfettamente a fuoco in ogni suo dettaglio. Di quelle che sono perse nella marea di foto. Che non meritano una pagina dell'album. Che non sono fatte con gente in posa. Quelle foto che il fotografo sicuramente considerava bucate. Oggi non le stamperebbero nemmeno. Cinquant'anni fa invece devono averla messa nel mucchio. Io l'ho ritrovata del tutto casualmente. I suoi colori erano sgargianti, in contrasto col b/n di tutte le altre, brillanti i colori dei vestiti, della tovaglia rosa, lo sbrilluccichìo dei bicchieri. Ed il soggetto era incredibilmente prezioso. Era il tavolo della famiglia della sposa. Mia madre e mio padre erano in piedi. Papà con il cesto dei confetti in mano. Mia madre china alle spalle di mia zia. Sorella tanto amata. Ho fatto un calcolo che in quella foto aveva 31 anni. Da già quasi dieci era malata di sclerosi multipla. Era in carrozzina al tavolo. Aveva perso l'uso delle gambe. Ma era al matrimonio della sorella. Con un raffinatissimo tailleur di shantung celeste e la spilla di turchesi e oro. L'immancabile spilla delle donne di casa mia. Ma tutto questo, l'esserci al matrimonio di una sorella e l'essere elegante, per chiunque potrebbe essere una cosa ovvia e banale. Io so che dietro a quella presenza c'era l'amore di una famiglia che non si è fatta annichilire da una malattia così invalidante e ha costruito la sua quotidianità e la sua routine su di essa senza esitare un attimo. Per essere lì quel giorno del '66, mia zia aveva dovuto essere portata a spalla per le scale dal 5° piano, probabilmente caricata in macchina almeno un paio di volte per andare in chiesa e poi al ricevimento. E nella foto è seduta al tavolo. Mia madre la cinge da dietro. Lei ha la testa leggermente reclinata all'indietro, come per appoggiarsi al braccio di mamma cercando di guardarla. E lo scatto immortala il momento in cui a mia zia sale il singhiozzo della commozione, quello che scatenerebbe il fiume di lacrime se non fosse trattenuto. E mia madre sorride a consolarla, facendosi prendere la mano. Un sorriso dolcissimo. E sorride mio padre col cesto di confetti. E sorride l'altra sorella, che le carezza l'avambraccio come a sostenerla. E' come l'istantanea di tanto amore. Che c'è stato intorno a questa persona così speciale, in un periodo in cui una malattia del genere non aveva le speranze di confort, palliazione e durata che ha oggi. Capitata ad una ragazza di 23 anni che aveva tutta la vita davanti. Ad una famiglia di donne che avevano perso padre e marito prestissimo. Che si sono rimboccate le maniche di fronte alla vita. Perché la sofferenza e il dolore, se condivisi, li fanno più sostenibili e li trasformano in energia positiva. E quel sorriso di mia madre nella foto era il sorriso che lei aveva sempre, la sua forza. Il sorriso con cui la sua vita e quella della sua famiglia sono state vissute. Quello che ha trasmesso a mio padre. Un sorriso denso di vita. Quello che ha insegnato a noi. Quello che io mi prendo come eredità. E oggi questa foto sull'orlo delle lacrime di felicità me la tengo nel cuore. Fuori da tutti gli stereotipi delle foto di matrimoni.