mercoledì, ottobre 29, 2014

Ciò che so dell'amore

Ho letto un libro d'amore, perché d'amore abbiamo tutti bisogno, perfino io che tutti mi dicono che sono una donna forte indipendente sicura di me, questo libro d'amore ha un titolo un po' pretestuoso per i miei gusti nonostante questo mi sono fidata dell'autrice e me lo sono letto: "L'amore è tutto (titolo): è tutto ciò che so dell'amore (sottotitolo, presumibilmente perché non è specificato e di fatto dopo i due punti il titolo continua)", già il titolo la dice lunga su ciò che sarà sviluppato all'interno, cioè il nulla, perché seppure sostiene che l'amore è tutto, non specificando nulla di quel tutto, il tutto rimane nulla, no? nel libro si parla in generale dell'amore, con pretese a tratti di esercizio filosofico, ma più che dell'amore provato, di quello che l'altro dovrebbe provare nei nostri confronti, come lo dovrebbe provare, quanto ci può dare in autostima il fatto che un altro ci ami, quanti quintali di solitudine ci sono da mettere in un rapporto di coppia di due che non hanno figli, quanta pazienza ci vuole ad amare noi donne con un carattere stratosfericamente cazzuto, rompipalle e anche egotico...ecco, quanta pazienza ci vuole? quanto la pazienza ha a che fare con l'amore? io mi rendo conto che ho sviluppato una dose di pazienza infinita dopo l'arrivo dei figli e che però non sempre sono disposta/disponibile a metterla anche nel rapporto di coppia, magari nel rapporto di coppia ci va qualcos'altro, ci va progettualità, interessi comuni, sesso, passione...in tutto questo per la pazienza e la sopportazione c'è poco spazio a mio parere, ora tutti diranno invece che perché un amore duri ci vuole pazienza e sopportazione ma io credo che se c'è sopportazione non c'è più scambio non c'è mutualità non c'è comunanza c'è solo fatica e la fatica mina alla base il rapporto se non è supportata da soddisfazione...ecco in breve questo è ciò che io so dell'amore e poi c'è una cosa che proprio non mi va giù e che presta adito a diverse contraddizioni nel libro - secondo me - ed è che da un lato l'autrice sostiene che quando si ama non si capisce, il cuore batte forte forte le farfalle sono nello stomaco etc, e poi teorizza che la scelta dell'oggetto amoroso avviene nella direzione di una corrispondenza di ciò che abbiamo perso da bambini, cioè cerchiamo tutto quello che abbiamo perso troppo presto e vorremmo ritrovare, ma io non ci sto e credo che l'amore non sia tutto, che l'amore sia un pezzo sicuramente importante ma non tutto e mi spingo a dire che l'amore che diventa tutto diventa malato ed esclusivo, come una cosa che si guarda da vicino senza occhiali (i miopi mi capiranno) e che sembra enorme mentre invece è minuscola... l'amore secondo me è un pezzo del tutto ed è mutevole fragile e da coltivare e poco ha a che fare con l'oggetto amato dell'infanzia e soprattutto non è solo uno e per concludere sulla falsa riga di Michela Marzano, l'amore è tutto ciò che ci separa dall'infanzia è ciò che ci fa adulti ciò che ci fa da lente per guardare e interpretare il mondo ma non può essere definito sulla base negativa della ricerca di una perdita.

giovedì, ottobre 09, 2014

L'impazienza del qui e ora

mi commuovo al travaglio di un cuore
sull'orlo del burrone
quando sta per cadere nell'ignoto
si farà male o
si impiglierà in un ramo a sorreggerlo
con le farfalle nella pancia 
tese a spiccare il volo
nell'ineluttabile impazienza 
del qui e ora

martedì, ottobre 07, 2014

Del sopportare sette anni di sfiga.

"Forse alla fine sono semplicemente un CODARDO", ha detto e quanti ce ne sono e che cosa significa essere un codardo? questa è la domanda che mi si insinua nel cervello probabilmente ha a che fare con una questione di coda, che un cane tiene bassa se ha paura boh io non me ne intendo di animali il dizionario Treccani lo definisce così un codardo: "di persona che, per viltà, evita di affrontare rischi o pericoli" e di per sé non ci sarebbe niente di male nell'evitare di affrontare rischi e pericoli, tenere il culo o la coda al caldo è sicuramente una decisione propizia in certi frangenti quindi mi domando dov'è che si trasformi in accezione negativa perché la parola "codardo" ha sicuramente un'accezione negativa, tanto più se uno se la dice da solo quasi in segno di resa all'impossibilità di agire nello sprezzo del pericolo o alla paura delle conseguenze, ma riflettendoci bene chi agisce nello sprezzo del pericolo è un EROE e non è cosa per tutti essere un eroe quindi tutto sommato darsi del codardo non è poi così grave in un ottica universalistica, certo io son codardo ma quanti altri lo sono! quindi non è un'attitudine così spregevole, siamo in tanti, in tanti che non riusciamo a prendere in mano le nostre vite e io perché dovrei essere peggio di un altro? in questo caso darsi del codardo significa giustificarsi platealmente - hai visto quanti siamo? - rendere meno penosa l'evidenza di quello che sentiamo all'interno di noi stessi perché ci hanno sempre insegnato che essere/fare l'eroe della storia è la parte più prestigiosa, più ricca di contenuti, di colpi di scena, di climax avventurosi, e questo cozza con la codardia, ma di fatto se codardi siamo in tanti e uno solo è l'eroe, tant pis, tanto peggio come dicono i francesi, non è che casca il mondo anzi ci sono più chance di cavarsela di rimanere a galla di non farsi prendere da una freccia in pieno petto visto che - se siamo codardi e non eroi - non saremo mai in prima fila e questo è un grande ALIBI altrimenti come lo vogliamo chiamare come comportamento? mi viene in mente solo alibi, una "motivazione che giustifica o discolpa" (Treccani) e quindi alla fine si torna all'inizio e cioè che la codardia è una automotivazione che giustifica o discolpa da un gesto che non siamo stati capaci di fare, da una decisione che non siamo stati capaci di prendere, da uno strappo che non siamo stati in grado di ricucire: "sono semplicemente un codardo" è una frase che ci fa sentire meglio, che paradossalmente ci dà ancora la forza di guardarci allo specchio che non si spaccherà nemmeno nel rifletterci perché se non siamo eroi, non siamo nemmeno in grado di sopportare sette anni di sfiga.