mercoledì, maggio 03, 2006

Discorso di Bertinotti

Per chi non avesse avuto occasione di ascoltarlo, posto il discorso d'insediamento di Bertinotti alla Presidenza della Camera dei Deputati del 29 aprile 2006:

"Signore deputate, signori deputati, mi rivolgo a voi direttamente senza la
lettura di un testo scritto per sottolineare con un piccolissimo gesto il
senso di apertura, di confronto e di dialogo che vorrei prevalesse in questo
Parlamento. Ringrazio allo stesso modo chi ha voluto votarmi e chi,
altrettanto comprensibilmente, mi ha negato il suo voto. Vorrei così
richiamare alla pari dignità politica di ognuna e di ognuno in quest’aula,
del Governo come dell’opposizione, della maggioranza come della minoranza.
Vorrei che ognuno di voi e ogni parte politica potesse contare sul mio
assoluto rispetto di questo principio.

Saluto le donne e gli uomini del nostro paese. Saluto il Presidente della
Repubblica, Carlo Aurelio... Carlo Azeglio Ciampi - chiedo scusa al
Presidente ed a voi - anche per il modo autorevole e popolare con cui
rappresenta il paese. Attendo l’elezione del Presidente del Senato, al quale
fin da ora assicuro la mia collaborazione.

Saluto il presidente della Corte costituzionale. A Pier Ferdinando Casini, che
mi ha preceduto in questo importante incarico con una capacità e con un senso
delle istituzioni che spero di potere imitare, va il sincero ringraziamento
mio e di tutta l'Assemblea. Auguro a tutte le deputate ed a tutti i deputati,
all'insieme dell'Assemblea buon lavoro. Ne ha bisogno il Paese, ne hanno
bisogno le nostre istituzioni democratiche. Credo che il primo compito che
tocchi a tutti noi è di lavorare ad una forte valorizzazione del ruolo del
Parlamento della Repubblica italiana.

Si tratta, credo, di una necessità storica in questi nostri tempi difficili.
Tempi di un passaggio impegnativo per la democrazia in Italia e in Europa.
Viviamo ogni giorno il rischio di un distacco del paese reale dalle
istituzioni, il rischio di una separazione della quotidianita' della vita delle donne e degli uomini dalla politica, il rischio che in questo quadro
una parte della società - quella più debole, quella più spogliata - venga
trascinata fuori dal quadro della politica. La politica tutta vive una sua
crisi, eppure dal nostro paese viene alta e grande una domanda di politica,
come si è visto anche alle recenti partecipazioni alle elezioni, una domanda
esigente e, a volte, aspra. Il Parlamento non potrà da solo risolvere questi
grandi problemi, affrontare questa dura crisi, ma può concorrere alla
rinascita e allo sviluppo di tutte le forze democratiche, di partecipazione e
di politica; concorrere con l'insieme delle istituzioni democratiche e
attraverso la partecipazione delle donne e degli uomini del nostro paese, con
cui penso possiamo lavorare alla riqualificazione dello spazio pubblico, che
ognuna e ognuno possa vivere come propria comunità.

Credo che dovremmo guardare con attenzione e cura a tutti i corpi, le
amministrazioni, da cui dipende la vita dello Stato repubblicano. Rivolgo da
qui un’attenzione a tutti i dipendenti pubblici, ai corpi dello Stato, alle
sue amministrazioni centrali e locali, centrali e territoriali, affinché
possano dispiegare tutta la loro potenzialità. Vorremmo concorrere a
valorizzare la loro autonomia, le loro autonomie, che sono una grande
ricchezza per il paese - tutte le autonomie, da quella della magistratura a
quella del servizio pubblico di comunicazione e di informazione -, per far sì
che tutti noi possiamo sentirci cittadini di uno Stato di diritto e cittadini
conosciuti e riconosciuti. Più in generale, di fronte a questo Parlamento sta
il compito di un rapporto positivo tra il paese reale e le istituzioni. Il
popolo deve poter investire tutta la sua fiducia sulle istituzioni
democratiche per nuove conquiste di libertà, di diritti alle persone, anche
liberandoli in tanta parte del paese dai gioghi che subiscono, a partire da
quello intollerabile di ogni mafia, per una nuova frontiera da costruire di
giustizia sociale e di sicurezza delle cittadine e dei cittadini, sicurezza
nel senso più alto di diritto all'accesso al futuro, quello cioè di poter
contare sulla possibilità di costruire i propri destini.

Per questo noi vogliamo contare sulla scuola come una parte fondamentale nella
costruzione di una nuova convivenza e vorrei qui ricordare il lavoro prezioso
delle insegnanti e degli insegnanti che costituiscono un patrimonio per il
futuro del nostro paese. Un patrimonio con cui lavorare e sconfiggere la
peggiore delle selezioni di classe, quella che può colpire in giovane età
ragazze e ragazzi, spingendoli all’esclusione. Vorrei ricordare da questa
tribuna la lezione, in cui vorrei tutti ci riconoscessimo, di una grande
coscienza civile e di un riformatore del nostro paese che di questo tanto ci
ha insegnato: don Lorenzo Milani. Ma le istituzioni democratiche sono vitali
se cresce con esse la società civile. Questa relazione sociale e umana, che
fa la cultura grande di un paese, può essere oggi il fondamento anche di una
nuova economia, non solo di una civiltà: l'Italia ha qui la sua risorsa più
grande. Perciò, vorrei che potessimo vivere insieme - insieme -, pur nella
diversità delle posizioni politiche, un allarme: il rischio della crisi della
coesione sociale, che può vivere l'Italia come tutta l'Europa, minacciata in
questo periodo, come ci dicono i fatti di cronaca di episodi barbarici ancor
più che impegni saggistici. Interroga la politica questa crisi.

C'è una fatica di vivere, un'incertezza, qualche volta una perdita di senso,
in parti della società che vengono spogliate di futuro. Vivono, queste realtà
drammatiche, insieme a tante esperienze di speranza, di innovazione, di
investimento sul futuro. Per battere le prime, il Parlamento può inscrivere
la sua iniziativa nell'impegno - comune - a costruire popolo, appartenenza,
comunità. Sono un uomo di parte: un uomo di parte che, perciò, non teme il
conflitto; che sa che la politica chiede scelte, confronto tra tesi diverse,
anche opposizioni e persino contrapposizioni. Ma una cosa vorrei che fosse
bandita dal nostro futuro politico: quella di lasciare scivolare la politica
nella coppia amico-nemico, in cui c'è la negazione di quello che pensa
diversamente da te.

Abbiamo bisogno, insieme alle differenze, e persino ai contrasti, di costruire
un concorso per realizzare un'Assemblea, questa, che parli a tutto il paese
il linguaggio della convivenza, della convivenza anche oltre la politica,
della convivenza come valorizzazione delle differenze, delle diversità da non
negare ma, anzi, da nominare e da riconoscere: differenza di genere,
attraverso le quali si manifestano due punti di vista diversi nel mondo;
differenze etniche, tra nativi e migranti; differenze generazionali;
differenze tra credenti e non credenti e tra le molte fedi. La laicità non è
solo un’eredità del passato; e non è neppure solo la più necessaria e
condivisibile difesa dell’autonomia del legislatore. La laicità chiede, in
Italia come in Europa, una sua rielaborazione, per farne l'orizzonte di una
nuova convivenza, della costruzione di una cittadinanza universale in cui
progettare il nostro futuro, un futuro che sta sospeso tra rischi terribili e
grandi speranze. Progettare il futuro: si può! Lo sapremo fare, quale che sia
anche la radicalità del nostro dissenso, se sapremo riandare alle radici più
profonde del nostro popolo e delle sue grandi culture. Questa legislatura si
apre tra il 25 aprile ed il Primo maggio, due date importanti della nostra
storia. Il Primo maggio, la festa del lavoro, ci ricorda il mondo e ci
raccorda ad una questione fondamentale: il rapporto tra il lavoro e la vita,
che decide, spesso, il livello di società e di civiltà. Per anni, non solo
questi ultimi, si è vissuto un oscuramento nel mondo del lavoro: un lavoro
che ha subito spesso una svalutazione sociale, alla fine della quale è
spuntata drammaticamente la precarietà come il male più terribile del nostro
tempo. Io penso che sia intollerabile. Perciò, dobbiamo riprendere il filo di
un diverso discorso, per restituire il futuro alle nuove generazioni, che ce
lo chiedono in molti modi, ma che ce lo chiedono così intensamente.

Il 25 aprile è la radice della nostra Repubblica. Vorrei che questa Assemblea
potesse idealmente svolgersi a Marzabotto, in quel cimitero sopra una collina
annegata nel verde, in un silenzio che esalta il ricordo del genocidio, degli
orrori della guerra.

Anche lì, signore deputate, signori deputati, è nata la nostra Costituzione,
la sua irriducibile scelta di pace, riassunta nell'articolo 11 della
Costituzione. C'è lì la ragione prima della nostra irriducibile lotta contro
la guerra e contro il terrorismo. Noi piangiamo anche oggi le vite di soldati
italiani uccisi a Nassiriya; anche oggi portiamo la nostra umana solidarietà
alle famiglie di questi cittadini. L'una e l'altra cosa ci fanno intendere il
dolore per ogni vittima della guerra e del terrorismo. Perciò, vorrei che
facessimo insieme nell'avvio di questi nostri lavori un pellegrinaggio, il
pellegrinaggio che Piero Calamandrei indicava ai giovani. Ha scritto un Piero
Calamandrei: "Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la
nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle
carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è
morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità.. Andate lì, o
giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione". Lì c'é
l'origine della nostra Repubblica! Vorrei che questo pellegrinaggio fosse il
viatico per il lavoro di questa Assemblea, in cui ognuno possa riconoscersi
per trovare nelle radici le ragioni e la forza per progettare il futuro
dell'Italia, dell'Europa e del mondo. "

ndr: i neretti sono miei

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