Quando vivevo in Francia non c'era il festival di Sanremo. Lì non sapevano nemmeno cosa fosse. Non sospettavano nemmeno che l'Italia intera avrebbe potuto fermarsi di fronte ad un palco strabordante di fiori, con paillettes, parrucchini, tette culi e qualche nota musicale.
Quasi mi mancava il tradizionale appuntamento, mi dava un senso di appartenenza. Confesso che qualche anno mi sono fatta anche registrare la serata finale per rivedermela e fare i soliti commenti acidi, con gusto. Il gusto di chi ride pensando "non sono io", quel meccanismo baudeleriano, ripreso anche un pò da Freud, che spiega così l'origine del riso. Certo, guardando Sanremo oggi, quel meccanismo lascia volentieri il posto ad una velata malinconia, per il come eravamo. Ma non tanto perché oggi sia tutto così sciatto, così triste e poco musicale. Quanto perché si capisce troppo bene come ci sia qualcuno dietro che manovri (male) le fila della baracca, per uno scopo che trascende la musicale comprensione degli eventi e che ormai nulla lascia più all'umana immaginazione. Quando sono partita per la Francia, in Italia cominciava appena la diffusione del cellulare. Io provavo una sorta di ribrezzo per l'attrezzo. In televisione Panariello non si era ancora mai visto e non sapevo il ribrezzo che avrei provato. Che cosa ha a che fare costui con la musica italiana (ammesso anche che si possa parlare di musica nel contesto sanremese)? Forse mi sono persa qualche passaggio? Non è nemmeno un personaggio alla moda, non so un figo da copertina, o uno dall'esperienza navigata come Pippone. Qualcuno mi ha aggiornato sul periodo della mia assenza dicendomi che ha fatto qualche sabato sera di successo su raiuno. Allora deve essere piaciuto a Noisette che l'ha cooptato per la macina di ascolti di Sanremo. Poco importa il motivo, fatto sta che ci ritroviamo in un periodo di decadenza e quindi si punta a ciò che più risolleva gli animi e cioè il giullare triste, che dopo non aver fatto ridere il re viene condannato a morte. Il povero Panariello non sa quanto sarà amaro quel milione di euro che crede di essersi guadagnato propinandoci orrenda musica, improbabili fotomodelle e capezzoli sgusciati fuori da indebite scollature.
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