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lunedì, ottobre 12, 2015

Il cesso della Meringa

Dal parrucchiere siamo tutte capiscione. 
Poi torniamo a casa e ci troviamo con una cofana in testa.
Non sono convinta di averla decisa io quella cofana.
Nei prossimi giorni mi dovrò ingegnare su come fare per tirarmi i capelli troppo corti che, su una riccia, sembrano ancora più corti.
Ma più di tutto mi dice lo sguardo delle mie figlie, che equivale a dire "mamma stai un cesso".
Non lo dicono chiaramente, ma sfuggono.
E questa fuga la dice tutta, come quando non hai coraggio di dire una scomoda verità in faccia ad una persona cui vuoi bene, tipo hai uno sfincione tra i denti, ma ti sei guardata il culone allo specchio etc etc.
Ecco. Le mie figlie ieri erano proprio così.
Ed è una sofferenza massima, poiché anch'io penso esattamente la stessa cosa: Meringa sei un cesso.
Quindi vabbè, sono diversa dalle altre donne anche in questo: a me il parrucchiere non mi fa per nulla bene all'umore.
Mentre sono lì seduta che aspetto, per giunta, comincio ad odiare sistematicamente tutte le donne presenti. Soprattutto quelle che hanno tanti capelli, lisci, domabilissimi e per le quali la messa in piega dura 150 ore, e sono 150 ore di goduria per loro. Io quelle le odio. odio quelle che vanno dal parrucchiere ed in cambio hanno un orgasmo assicurato.
Io, invece, esco fuori scontenta, imbruttita e sicuramente più povera.
Per quello sono sempre più convinta che almeno dalla psicanalista mi sfogo, senza pensare di aver perso un orgasmo.

lunedì, maggio 14, 2012

Sullo sradicamento

Certo il titolo può ingannare, magari penserete a roba forte sulla depauperizzazione dell'individuo oppure sulla perdita delle radici nella fretta del mondo moderno. E invece è tutto molto più terra terra. Dicevo nel post precedente che avevo desiderio e urgenza di esternare un certo numero di riflessioni. La prima e più urgente di tutte è quella sul potere taumaturgico della depilazione. Sradicare da sé estroflessioni pungiformi. Ecco. Mi pare un buon punto di partenza.  Ecco, io da un po' di tempo mi sto accanendo contro tali difformita della umana cute, in maniera sicuramente più accurata e proterva del solito. E mi sono interrogata chiaramente su cosa potesse significare a livello del mio subconscio più profondo, perché nulla, delle azioni che fuoriescono dal nostro essere, può essere lasciato al caso. La mia conclusione, dopo molti e approfonditi ragionamenti, è che l'appianamento del bulbo pilifero è necessario alla fuoriuscita dell'identità femminea e in particolare, evidentemente, della mia. Quanto più è sterminata la distruzione della foresta, tanto più emerge la femminona che è in me. Mi sembra un'ottima proporzione. Certo poco ecologica, messa così, ma senza dubbio rappresentativa del mio stato attuale. Non do tregua al pelo che mi insegue.

lunedì, febbraio 06, 2012

Post concettuale abbastanza serio

Ho un problema di metodo. Chissà perché alcuni termini, di per loro densi di significato, vengono decontestualizzati e svuotati di ogni senso. In particolare mi riferisco a termini di per loro vaghi utilizzati da gruppi femministi, con pretesa di indicare realtà estremamente complesse e articolate. Un esempio tra tutti, che sicuramente è parlante per molte, il termine RETE. Fare rete è un'espressione densa di contenuti, ma anche volatile se non si riesce a focalizzare su modalità, strumenti e obiettivi. Molte utilizzano questa espressione,  privata di contenuti, come un viatico per dire tutto e niente. Il concetto di FARE RETE implica di per sé il valore dei contributi apportati da ogni componente della rete. Non dovrebbe esserci prevaricazione, dirigismo o assolutismo. La rete (di qualunque "cosa" essa sia composta) ha bisogno di confronto, di contributi teorici e pratici, di idee e di messa in comunione di esperienze pregresse che hanno già dato buoni risultati, quelle che vengono chiamate "buone prassi". Se non ci sono almeno alcuni di questi ingredienti la rete non esiste, rimane un contenitore vuoto di senso e di applicazione. Allora siccome in questo momento lavoro su un sistema di reti di associazioni ed enti locali che funziona e che avanza grazie al metodo, mi scoccia alquanto, quando mi capita di partecipare a progetti ideati da donne per le donne, che un progetto di rete tra donne e associazioni di donne non riesca a partire perché vengono a mancare i suoi presupposti fondamentali e cioè la condivisione di contributi, la sintesi, la diffusione di idee e soprattutto la sinergia tra le diverse componenti, che presuppongono tutta una serie di atteggiamenti a sorreggere ambiziosi obiettivi, come ad esempio rispetto dell'opinione dell'altra, inclusione delle nuove arrivate, capacità di considerare le novità emergenti da un dibattito in corso. Molte donne, purtroppo, non capiscono che si può avanzare solo se si accetta che i contributi di tutte siano sullo stesso piano. O si parte con un progetto più modesto, poche persone che lo pensano e cercano di proporlo a tante altre e realizzarlo, oppure se si chiama un progetto "La rete delle reti" (già di per sé assai pretenziosa come denominazione) e si coinvolgono centinaia di donne per costruirlo è necessario sapere che chiunque ha diritto di discutere sulle premesse in fase di fondazione e su eventuali documenti che si vogliano acquisire come manifesti. Ritorno all'incipit: è una questione di metodo. Rete non è una cosa che si produce per il solo fatto di nominarla.

lunedì, dicembre 05, 2011

Lacrime sul Belpaese

A me è capitato di piangere a lavoro. Ricordo una volta in particolare, mi trovavo a gestire una situazione estremamente stressante, con obiettivi stringenti da raggiungere, con un cliente cui rendere conto anche dello spostamento dell'aria in ufficio, con una serie di riunioni molto impegnative e anche discretamente formali e poi, come se non bastasse ero anche incinta. Quindi forse, la goccia che fece traboccare il vaso non era nemmeno estremamente rilevante. Ma rilevava per me. Certo non reggevo sulle mie spalle le sorti dell'azienda, ma insomma ero comunque in una posizione in cui piangere non sarebbe stato ritenuto all'altezza della situazione. E infatti mi trattenni e mi tratteni fino a che mi scappò da piangere durante la pausa caffè, assolutamente off topic rispetto all'evento in sé. Ed il mio capo dell'epoca, del tutto scevro da ogni sentimentalismo, maschio in carriera con femmina a casa che badava ai rampanti pargoli perfetti, invece di biasimarmi, mi fece una carezza sulla gota. Credo che con quel gesto volesse comunicarmi la sua comprensione, forse anche l'invidia di non potersi mettere a piangere lui, mentre forse gli avrebbe fatto anche bene. E quel gesto taumaturgico ebbe su di me effetto guarigione immediata, un po' per la catarsi delle lacrime, un po' perché mi sentivo compresa nella situazione e nei sentimenti. Credo che sia giusto riflettere sul perché gli uomini non piangano in pubblico, o si sforzino di non farlo. Perché invece - a mio parere - mostrare la propria sensibilità non è una diminutio, è carattere proprio dell'umanità, è la prima cosa che si fa quando si nasce, tanto che se un neonato non piange è giudicato un brutto segno. E il piangere in pubblico della ministra, il pubblico totale globale del nostro Belpaese, è stato da molti giudicato sconveniente, ma io penso che sia grande segno di umanità e di sensibilità, per stra-abusate che siano codeste parole. In un paese in cui soldi e fica sono stati in primo piano per decenni, forse è il momento di piangere. Ed il fatto che sia una donna a farlo, indica quanto le donne siano più sicure della propria personalità per permettersi di fare una cosa così intima in pubblico. 
La donna che partorisce e allatta in pubblico non può non piangere in pubblico. 
Forse un futuro diverso per il paese passa anche da qui.

martedì, settembre 20, 2011

E sempre di fuffa si tratta

Sono fuori di me dall'indignazione. A me questi surrettizi articoli su repubblica.it, mascherati da studi scientifici, per asserire concetti che ribadiscono il disprezzo e la pretesa inferiorità del genere femminile mi fanno venire il sangue al cervello. La donna diventa madre e questo non glielo può togliere nessuno. E siccome, per quanti sforzi vengano fatti per sminuire l'importanza fondamentale dell'atto "maternità", per svilirlo, per svuotarlo di senso, questo atto continua e continuerà a ripetersi in maniera assolutamente identica ed immutabile nei secoli dei secoli, allora tiriamo fuori il corpo dei papà che si modifica dopo il parto (il parto della madre, no ma il solo pensiero di questo concetto aberrante è assurdo) perché l'istinto di paternità è diventato innato. E questo perché qualsiasi ricerca, anche assolutamente priva di credenziali, assurge a referenza sull'argomento. Siamo al punto che bestialità tipo che l'orgasmo della donna sarebbe di per sé "un fenomeno"inutile", un sottoprodotto accidentale dell'evoluzione maschile", si possono trovare in un articolo piazzato in bella vista nella categoria "Scienze" di Repubblica. Perché chiunque blatera di qualsiasi cosa su un media assurge a guru sull'argomento. E quel che fa più effetto è che questo meccanismo si mette in moto dovunque, su qualsiasi mezzo, di destra di sinistra, illuminato o meno. Allora io mi chiedo: ma la colpa è del giornalista che enfatizza la di per sé insignificante questione creando un caso pruriginoso; è del ricercatore che perde il suo tempo su minchiate colossali a causa di finanziamenti impazziti che vanno in direzioni assurde; oppure la colpa è della società/opinione pubblica/politica che innesca questi meccanismi per rassicurare il genere maschile che ha ancora una qualche utilità, ancora un qualche senso oltre a quello spermatozoo pur (e forse non per sempre) indispensabile? Siamo in un paese che discute tutto il santo giorno di fuffa, inteso come organo sessuale femminile. Mascherata dietro elucubrazioni moralistiche sulla condotta di un presidio governativo che semplicemente rispecchia l'andamento e la decadenza sociale e culturale del nostro paese. Fuffa per tutti sembra dire la prima pagina di repubblica.it. Fuffa per tutti i maschi che non sembrano avere molto altro per divertirsi. E fuffa anche per tutte le donne che la guardano con cupidigia, questa fuffa. Impazienti che qualcuno guardi presto anche la loro. Magari in eurovisione.

domenica, aprile 10, 2011

Simpaticamente glamour

La mia amica D. fa sempre cose molto glamour l'ultima in ordine di tempo è stata stasera che sono andata con lei a casa di un'amica obiettivo baratto di vestiti con altre donne si presupponeva più o meno della stessa stazza che io e la mia amica D. più o meno condividiamo dico più o meno perché io comunque batto tutte e allora mi aspettavo di avere davanti un tappeto di vestiti ma non vestiti qualunque vestiti molto glamour perché la mia amica D. è sempre molto glamour stasera aveva una camicia verde pistacchio di Bronte e un paio di ballerine senza calze che le mettevano in rilievo una graziosissima caviglia allora arrivo leggermente in ritardo dopo aver passato la domenica pomeriggio a scofanarmi di pasticcini e golosità varie alla solita festa di bambini quindi diciamo ancora più rotonda del solito se possibile e mi ritrovo in un consesso in cui il totale del volume delle donne presenti era uguale se non minore alla somma del mio, di quello della mia amica D. e della sua amica M. erano tutte magre esponevano vestiti magri cose che nemmeno se avessi trattenuto il fiato all'infinito mi sarebbero entrate anche solo su una coscia io che ero andata lì piena di belle speranze di potermi rifare il guardaroba e avevo preso due o tre cosette dal mio armadio le prime che mi erano capitate sottomano per la precisione un boa di struzzo rosa, una camicia da notte di seta rossa completa di vestaglia rossa da tenutaria di bordello, un reggicalze ghepardato e un grazioso paio di mutandine che mi salcicciavano i fianchi in maniera orrenda beh queste cosette hanno avuto un successone sono andate a ruba l'amica M. si è anche fatta fotografare in posa discinta per pochi intimi essendo lei supremamente dotata in paraurti anteriori con vestaglia da tenutaria e boa insomma però io nel baratto mi son beccata vestito golf e camicia invernali e però niente spazio per microgonne e micropull che la padrona di casa provava e barattava a tutto andare eh certo che lei non ha pancia fa palestra hanno detto tutti alla mia obiezione che le stava bene tutto e pure io faccio palestra e corro tre volte a settimana cazzo ho urlato eppure non fa lo stesso effetto allora si sono girati tutti verso di me e ho avuto la certezza che la simpatia ti ripaga di tutte le sofferenze di tutti i centimetri non persi di tutti i pasticcini ingollati in un pomeriggio di quasi estate.

martedì, marzo 08, 2011

Disambiguare

Mamma perché non c'è anche la festa degli uomini??
Perché loro festeggiano, tesoro, tutti i giorni.

martedì, febbraio 15, 2011

Io me lo riprendo

In questa giornata che lascia presagire che la parola libertà tornerà presto a riprendersi il suo senso, in cui prendiamo coscienza che se la rivoluzione si fa strada - e IN strada - in Iran forse il suo vento può spirare fino a qui, in questa giornata in cui raccogliamo i frutti di una domenica in piazza, in cui noi donne italiane - e i nostri uomini - siamo scese in piazza per riprenderci quello che ci hanno tolto, qualcosa che non si compra che non si paga che non si vende ma che solo si ruba, in questa giornata in cui tre donne giudicheranno il rappresentante della decandenza dei costumi italiani, il detentore della pompetta più potente del mondo, per reati legati allo sfruttamento del genere femminile (chiamatelo come volete, ma questo è), spettacolare nemesi, contrappasso sadico e rigenerante, in questa giornata che segna il passo ad un domani incerto ma sicuramente nuovo, ecco, io mi addormento felice. Felice di essere donna, felice di essere qui e ora, insieme a tutte/i voi, pronta a tutto per riprendermi il senso.

venerdì, febbraio 11, 2011

Uomini che amano le donne

Oggi che parliamo di donne, io vorrei parlare di uomini.
Vorrei parlare di quegli uomini, come mio marito, che amano le donne.
Quegli uomini che mettono al primo posto la donna, il suo piacere, il suo sguardo, i suoi desideri, le sue aspirazioni.
Quegli uomini che tornano a casa la sera col sorriso.
Quegli uomini che si dispiacciono di lasciarci sole, anche solo raramente.
Quegli uomini che amano i loro figli, che li considerano, li stimano, li spronano, li appoggiano.
Quegli uomini che dividono e condividono, che patiscono e compatiscono.
Quegli uomini che non mentono, che ti guardano negli occhi, che capiscono la stanchezza.
Quegli uomini che amano le donne.
Che le amano davvero.
La manifestazione di domenica 13 febbraio è anche per voi.

venerdì, gennaio 14, 2011

Friendship

L'uscita con le amiche è sempre un'incognita gigante.
Non sai mai se riuscirai a sistemare bimbi e marito prima d'uscire, se la macchina non ti morirà all'accensione, se avrai abbastanza fegato da finire gli antipasti, se la pizza con l'aglio divisa in quattro parti alla fine riuscirai a digerirla, se avrai l'occasione di raccontare dell'ultimo gingillo di tuo marito, una roba che evoca l'hula hop, se pur di chiacchierare riuscirai a fumare solo una sigaretta, se alla fine saremo tutte uguali, tutte sorridenti, tutte felici di godere di quell'attimo di libertà.
Non lo sai mai questo. Prima.
Ma sai che se torni a casa e ti fanno male le gote, la serata è stata sicuramente da morire. Dal ridere.
E ognuna è tornata a casa più felice, più rilassata, più bendisposta verso l'argomento di conversazione preferito: il maschio con cui abbiamo deciso di dividere la vita.
Ignaro lui. Ma certo meno solo di ieri.

lunedì, novembre 01, 2010

I've got engaged

Interno giorno prestigioso ambiente lavorativo.
Personaggi: prestigiosi lavoratori, anche se, come spesso succede, non sono sempre tutti baciati dalla dea bendata.

Si discute di casi di lavoro, in maniera molto approfondita, ognuno dice la sua, espone il frutto del proprio lavoro. Alla fine il capo, quasi per cortesia dice: "C'è qualcuno che ha qualcosa da aggiungere?".
A quel punto si alza in piedi lo sfigato di turno, quello tutto ciccia e brufoli, quello cui andresti solo a chiedere una consulenza professionale e anche con un moto di repulsione, quello con i capelli forforosi e con un abbigliamento lontano mille miglia da qualsiasi attributo che possa anche solo vagamente avvicinarsi alla parola "classe", quello che non è in grado di mettere due parole insieme che non siano riassunto di casi trattati, che non distingue un colore dall'altro, quello insomma da cui non ti aspetteresti mai un'uscita dal binario. Quello lì alza il ditino della sua mano sudata e dice le seguenti parole che lasciano la platea basita più che altro dal completo menefreghismo per l'evento: "I've got engaged!". Un mito. Io e l'amica che me l'ha raccontato abbiamo già in testa l'inizio e la fine di un film.
Il film inizia così. Poi nel suo corso succedono un sacco di cose alla protagonista che aveva assistito all'exploit dello sfigato. E alla fine lei stessa si alza in piedi alla riunione fotocopia di quella iniziale, dicendo: "I'm engaged, too". Fa molto Bridget Jones. Accettasi contenuto di copione. No perditempo.

giovedì, giugno 17, 2010

La luce che illumina l'anima è la stessa lampadina dello specchio della toilette


Ci sono momenti in cui guardi tutto sotto una luce diversa, momenti in cui ti dici che è stato bello, che hai fatto le scelte giuste, che non hai niente da recriminare, che il tuo pettine ha denti troppo larghi per trattenere anche un solo nodo, momenti in cui guardi tua figlia e dici cazzo questa l'ho fatta io stava in pancia a me e solo a me, in cui ritrovi sul tuo corpo cicatrici che ti riportano indietro col tempo (a quando alle elementari hai sfondato con la mano il vetro della sala delle feste perché i compagni malvagi non ti facevano entrare), nel tuo cuore cicatrici che non si sono chiuse come quelle del corpo e nei tuoi capelli, minchia !, a guardare bene bene... in fondo in fondo... nei tuoi capelli non c'hai manco un capello bianco!

sabato, maggio 01, 2010

Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi....


Era d'uopo andare a vedere le circonvoluziooni amorose di quel bel pezzo del Favino.
Però, ecco, al di là dei patinati ambienti soldiniani, ché lui in questo è un maestro, per cui niente da dire, ho dei seri dubbi sulla credibilità della storia in sé.
Che messaggio vuole dare questo film? Parlare di tradimento? Parlare di sentimenti? Parlare di difficoltà economiche? Ne avevo sentite di tutti i colori prima di andare e sinceramente io non ho trovato nulla di ciò che era stato pomposamente annunciato: esplorazione dei sentimenti, dicevano molte recensioni.
Io ho visto molta esplorazione, anche fugace, di corpi, molti intensi primi piani, ma non ho"sentito" niente.
Quello che mi scoccia di più, in una serie di luoghi comuni inquietanti, è che per una volta il compagno orsacchiotto non è veramente un soggetto. E' un uomo che non ha la fortuna di essere attraente, ma che ha tantissime qualità come essere umano e soprattutto per far funzionare un rapporto. E ovviamente uno così va tradito.
Ma tradiamo uno che ci ignora, che non ci dà nemmeno un bacio la mattina, non uno che ci lascia la colazione pronta quando esce! Cazzo. E, soprattutto, una carina e friccicarella come la protagonista aveva tutte le possibilità di trovarsi un compagno della vita figo come Favino. Invece di vivere con un orsacchiotto peloso e tenerone, nonché bruttarello, per poi tradirlo col figo sposato e padre squattrinato.
Tutti abbiamo bisogno di evadere dalla nostra grigia routine. Tutti.
Ma molto spesso dimentichiamo che basta poco per ravvivarla.
Che, in una coppia, la guardia non deve essere abbassata mai.

giovedì, aprile 29, 2010

L'età di tutti i mali

Allora oggi stavo al telefono con la mia amica V. quella tutta perfetta che sembra sempre appena uscita dall'estetista sempre fresca di trucco e parrucco che a fine marzo ha già tirato fuori il sandalo e messo lo smalto alle unghie dei piedi che però ogni tanto ti gela con frasi storiche degne di nota e di riflessioni che tu dici perché diavolo non sono venute in mente a me - sintomo che non è perché una è bella e tonica le manca il cervello, oppure che una stravaccata e trasandata ce ne ha molto! - e dunque mentre dissertavamo dei nostri rispettivi mali, io infarcita di dolori intercostali mal di gola mal di testa, lei appena uscita dal dottore, con quell'arietta da santarellina mi fa: "senti ma che cosa significa che noi parliamo ormai solo dei nostri mali?" come a dire che ormai abbiamo un'età e non siamo in grado di proferire altro verbo, ma io mica mi sono fatta cogliere in castagna ed ho risposto con la saggezza dell'età: e di che cosa vuoi che parliamo tesoro? io c'ho un uomo fisso tu più o meno pure, vogliamo parlare delle stravolgenti posizioni amorose adottate a quarant'anni? mi sa che ci restano pochi argomenti e tra questi i malanni dell'età mi pare uno buono, ci consente di patire in compagnia!
Dai V. non arrendiamoci. Io sabato scorso ero a conversare amabilmente con una mia amica in preda alle pene per il maschio deresponsabilizzato.
Non è meglio parlare di malanni dell'età?

mercoledì, aprile 21, 2010

Uguali differenze

Chi mi conosce sa che la questione mi ronzava in testa da parecchio.
Ed evidentemente non sono la sola donna che ha problemi con l'attuale condizione femminile.
Mi sofferemerei su due articoli.
La cosa in comune sembra essere sempre la stessa, l'unica, l'immarcescibile: lo sfruttamento della donna, e nei tempi contemporanei, anche della sua immagine, rimanda sempre e comunque un'immagine spregiativa, diminutiva, inane e inattiva rispetto alla realtà che la circonda, anche se nella realtà, e questo lo vediamo tutte/tutti ogni giorno, la donna è parte attiva e motrice del mondo.
La conclusione di Susanna Tamaro è: "Siamo in mille, ma siamo sole".
La conclusione di Cristina Comencini è che l'errore del femminismo è stato non andare fino in fondo, non aver "trasformato le grandi scoperte di quegli anni in diritti acquisiti e sorvegliati".
Io penso che l'idea della Comencini sia abbastanza realistica. Aver studiato a fondo il femminismo degli anni '70 e '80, mi dà strumenti sufficienti per poter dire che gli argomenti sono stati sviscerati abbondantemente all'epoca e in maniera assolutamente strutturata. Ma oggi, nella pratica quotidiana, nella vita così come viene vissuta dalla maggior parte delle donne (o almeno di quelle che io conosco) e dalle immagini delle donne che mi rimanda la società, io vedo poca acquisizione di quei diritti e men che meno sorveglianza.
L'idea di uguaglianza tra i sessi, motore del femminismo degli anni '70, è rivoluzionaria nella sua portata. Ma non è definitiva. Non possiamo essere uguali perché siamo troppo diversi, a partire dalla nostra fisicità. Così l'uguaglianza ha un senso se diventa condizione necessaria alla differenza. Non possiamo scoprire la ricchezza della differenza se non partiamo da una base (sociale, civile, civica e giuridica) di uguaglianza. Questo, secondo me, è l'insegnamento di vent'anni di femminismo, di cui si parla ormai raramente.
Differenza come ricchezza, come crescita, come peculiarità speciale dell'altro/a, che necessariamente diventa chiunque altro. Il discorso del femminismo degli anni '80 (uno su tutti quello di Luce Irigaray), che comunque senza il "femminismo dell'uguaglianza" non sarebbe mai intervenuto, è fondamentale per comprendere la costruzione dell'identità femminile. Di un'identità specifica e non dipendente o fondata su valori maschili o rappresentativi dell'universo maschile.
E però nel mondo di oggi, in questo mondo fatto di bit (o bot) più che di diritti, c'è chi ancora crede che le cose possano cambiare. Che la donna non debba essere rappresentata dalle sue tette perché un giorno ha deciso di bruciare in piazza il reggiseno, o dal suo culo perché un giorno tutti gli uomini sono stati i benvenuti nel suo letto.
I due articoli che ho citato rappresentano due visioni opposte: la Tamaro è inattiva, critica semplicemente la situazione senza proporre soluzioni (lecito, ma poco interessante), la Comencini si interroga onestamente sul perché il mondo non sia cambiato nella direzione verso cui le donne lo stavano spingendo a tutta birra. E la sua risposta è che non è stato fatto abbastanza.
Vale a dire facciamo di più.
Facciamo ancora.
Facciamoci sentire ancora.
Ritornare in piazza è la mia conclusione.
Come da tempo si sarebbe dovuto fare.
Perché la nostra classe politica maschile e (fatemelo dire) assolutamente fallocentrica è talmente occupata a guardarsi ombelichi e sistemarsi parrucchini che solo un intervento cruento può attirare l'attenzione, un'attenzione interrotta ma dovuta, un'attenzione necessaria per portare a termine un'operazione di civiltà e diritto incompleta.

martedì, aprile 20, 2010

Integrazione: quale futuro?

Il libro della scrittrice turca Necla Kelek Himmelreise (Ascensione) prosegue e approfondisce un discorso che per lei non è nuovo, e che prende le mosse dalle sue origini e dalla sua storia personale di immigrata in Germania, turca di religione islamica, per andare a studiare le difficoltà del processo di integrazione in una comunità straniera. Difficoltà acuite oltremodo dall'appartenenza religiosa all'Islam e dall'appartenenza al genere femminile. La questione è semplice e al tempo stesso profondamente difficile da risolvere: l'integrazione deve passare attraverso l'abbandono di certi estremismi religiosi?
Per restare all'esempio della Germania e dell'immigrazione turca, la possibilità di vivere in un paese rigorosamente laico e con usi e costumi fondamentalmente diversi richiede un adattamento profondo fino alla modifica radicale dei propri usi e costumi anche religiosi o, in alternativa, si finisce per vivere in uno spazio-tempo delimitato dal non-abbandono delle proprie origini, di vita parallela senza possibilità di reale integrazione, di fatto un limbo. Kelek si è occupata anche molto di matrimoni combinati, di spose "importate" dal paese d'origine per mantenere quella sorta di status quo che garantisce un mantenimento (nella reiterazione) delle tradizioni di provenienza, ma sintomo dell'impossibilità dell'integrazione insita, se non in tutte, almeno in molte tipologie di immigrazione.
Chiaramente un libro del genere sovverte gli schemi. Sovverte quel politically correct che deve essere mantenuto per non turbare gli equilibri, gli animi, le sensibilità molteplici in questione.
Infatti in Germania ha provocato anche un certo dibattito.
Quel dibattito sempre salutare che ci dovrebbe costringere a guardare in faccia i limiti delle attuali politiche di integrazione (europee, italiane, ma anche tedesche), soprattutto sui grandi numeri, che invece sarebbero assolutamente necessarie in questo mondo sempre più meticciato.

lunedì, aprile 12, 2010

In vino veritas


La serata si preannunciava un po' tristanzuola.
Pensavo di rimanere chiusa in cucina con la mia fantastica amica D., mentre maschi scelti degustavano in salone dell'ottimo vino da intenditori, in una atmosfera da real happening, la cui conditio essenziale era l'assoluto silenzio. Ero stata estromessa dall'happening perché l'amico L., l'organizzatore dell'esperimento di arte sommeliera, aveva giudicato che io non sarei mai riuscita a rimanere due ore in religioso silenzio degustativo.

E non hai torto, amico caro, non hai torto.

Ma continuerò a volerti bene, perché la serata di sabato mi ha dato la prova inconfutabile della superiorità della femmina sul maschio, dell'adattabilità estrema dell'animale femmina che vi sopravviverà senza ombra di dubbio, persino chiusa in una cucina con tre bottiglie di vino. Perché noi siamo capaci di adattarci alle situazioni più impervie, costruendoci godimento da cose impensabili. Quando ci troviamo in quattro/cinque intorno ad una bottiglia, foss'anche di vino con le bollicine, noi non siamo capaci di stare zitte a guardare il nostro bicchiere svuotarsi in religioso silenzio. E probabilmente non saremmo in grado di farlo nemmeno sotto tortura. Nemmeno in nome della nobile arte dell'assaggio. Noi godiamo della reciproca compagnia e anche se non ci conosciamo, anche se non sappiamo niente l'una dell'altra finiremo la serata come amiche di sempre. Siamo proiettate all'ascolto dell'altro, più che in direzione del nostro ombelico.
E' per questo che viviamo di più.
Noi pensiamo in grande. Pensiamo a tutto tondo. E questo ci rende invincibili.
Anche se ci è sfuggito il pass per la degustazione più glamourous dell'anno!

venerdì, marzo 26, 2010

raiperunanotte al femminile

Raiperunanotte è stato un episodio catartico per il popolo abbandonato della/dalla sinistra.
Catartico quasi quanto una manifestazione.
Ci siamo contati, ci siamo ascoltati, ci siamo amati, ci siamo applauditi. Praticamente un tripudio.
L'unica cosa che secondo me stonava un po', ma anche il mondo del giornalismo è parecchio maschilista, è che, a parte due giornaliste, le persone che erano presenti in studio o nei servizi a rappresentare il tracollo dell'economia lavorativa erano donne di una certa età, intervistate da una giovane donna in carriera: donne licenziate, in cassa integrazione, senza un soldo, senza una prospettiva, disgraziate, immagine di una novella pietas, figure prostrate anche se non rassegnate. Mi sarebbe piaciuto che si intervistassero un maggior numero di donne pubbliche, perché sono convinta che nei momenti di decadenza, la rivoluzione debba partire anche dal pensiero femminile.

venerdì, marzo 19, 2010

Tanta tutta

Ieri guardavo la fantastica giacchetta di mia figlia. Tutto pelo viola chiaro, smanicata con cappuccio altrettanto di pelo. Graziosissima, sebbene vagamente eccentrica.
E mi sono ricordata di quando andavo in giro vestita come un lampione, nel senso che non mi si poteva non notare. Già metti il metro e ottantatre. Poi minigonna di colore sgargiante, calze nere, stivali col tacco, giacca di pelle, a volte anche un boa, anelli enormi, trucco evidente. Avevo deciso che se ero fatta così era meglio evidenziare che far finta di niente. Non ero sicura del mio aspetto. Ero una donna sui generis, una "donna sull'altra" come sono anche stata soprannominata. Tutta troppa. E devo dire che questa sovraesposizione mi è servita parecchio. Ho imparato a convivere con la mia differenza e ad accettarla, accentuandola. Così ho imparato ad accettarmi, ad amarmi. E non ho avuto più bisogno di vestiti sgargianti per affermare la mia fisicità.
Io sono una donnona. Laddove, per "ona", oggi intendo una cosa positiva!
Tutto questo per dire che posso evitare di mettermi in competizione con mia figlia tirando fuori dal soppalco la mia fantastica giacca di pelle rosa!

lunedì, marzo 15, 2010

I maschi della domenica

Tu c'hai presente il maschio medio italiano?
Quello che a tavola non riesce a fare a meno di guardare la tv, e se per caso si è tanti a tavola - come può capitare la domenica - si ritira in cucina per la sua trasmissione preferita, facendo capolino ogni tanto per consumare qualche brandello di lauto pasto, insieme alle variegate medicine che per diversi problemi di salute ingurgita in quantità industriali ogni giorno?
Di chi è la colpa di questa assenza?
Ieri ho avuto l'illuminazione.
La colpa è di certe mogli compiacenti.
Io, a mio marito, se se ne andava durante un pranzo di quindici persone a vedere la televisione in cucina (sarà per questo che non ho la televisione in cucina?) gli facevo una sonora piazzata davanti a tutti. Altro che fare finta di niente.
Colpa delle donne (di un certo tipo di donna, intendiamoci, mica tutte!) è questa tacita autorizzazione alla nullafacenza e al menefreghismo verso ciò che avviene nella comunità casalinga. E' come se un certo tipo di donna godesse nell'attribuire al suo uomo il potere e l'autorizzazione a fregarsene del gruppo - e proprio in un momento in cui sarebbe invece significativa la sua presenza - e di occuparsi solo delle sue passioni domenicali.
Peccato grave è il lasciar correre. Perché i nostri figli introiettano questi modelli casalinghi, e li ripeteranno nelle loro future famiglie. E se vogliamo un cambiamento della nostra società dobbiamo cominciare dal nostro piccolo mondo quotidiano.

E dopo la mia illuminazione ne ho la certezza.