giovedì, novembre 30, 2006

Mai hiusband giv mi samting niu

Ce la siamo presa in anticipo quest'anno. Ieri sera il rientro è stato trafelato. Disordinato rispetto al solito. Lui è sempre molto preciso. Tutte le cose nel taschino. Valigetta 24 ore. Sacco del pranzo. Ma ieri sera, stranamente si era scordato il cellulare in macchina. Io ero già isterica, ché non sopportavo più mia figlia e non vedevo l'ora che lui tornasse. In genere lo assalgo già sulla porta con i miei mille problemi, sbrodolandogli addosso i rimasugli di cena della pupa, e comunque vomitando quante più parole nel minor tempo possibile. Ma lui mi stoppa, mi frena, mi argina. Cellulare scordato. Poggia tutto alla rinfusa e scende. Io, come se niente fosse, mi rimetto a fare le mie cosine in cucina. Dopo un po' torna. Tutto a posto. Ora ci pensa lui alla pupa. Io finisco di preparare la cena. Poi il miracolo accade. Ella viene di peso portata a letto e piomba in un'insolita catalessi. Mentre noi possiamo goderci reciprocamente, assaporare il gustoso dietetico minestrone e felici ci avviamo verso la fine della gionata. Ma con guizzo felino lui mi fa: "Ti spiace se il regalo del compleanno te lo do in anticipo?".
"Beh" - faccio io - "veramente preferirei venerdì". Discorso chiuso.
Ma lo vedevo che fremeva. E fremi che ti fremi, mentre mi stavo scofanando le mie quattro mele post prandiali, sguscia via e si ripresenta con un enorme busta. Fa tutto da solo.
"Ti piace?"
Dico: "Eh, non so, fammi vedere".
"Oh, non ti preoccupare, lo monto io".
Vorrei ringraziarlo, perché mi ha regalato un inverno stravaccata sul mio divano. Con bei filmetti da vedere. Calde coperte da indossare.
Io però, che generalmente sono indegna dei regali che mi fanno, mi sono addormentata nel bel mezzo del primo film. Come una pera cotta. Certo, per iniziare avevamo scelto Deaglio e la storia con Bianca, per cui non era certo il modo migliore...
Ma andrà sempre meglio, me lo sento.

martedì, novembre 28, 2006

Dirimere questioni di appartenenza

Di fretta. Andavo. Alla mia prima uscita da casa dopo una settimana di letto. L'alimentari sulla stradina mi è sembrato il posto migliore per fermarmi. In fondo avevo solo pane e latte da comprare. Li poggio sulla cassa e proseguo la mia ispezione. Dlin- dlon. Si apre la porta su due campagnoli all'uscita serale. Lei: quattro capelli in croce, tinti nero pece, racchiusi dal fermaglio delle feste e un'enorme bisaccia piena di cianfrusaglie. Lui: bianco come neve sebbene presto totalmente calvo, scoppoletta bella calzata e portafoglio in mano. Mi chiederete come ho fatto a vedere la sua calvizie. Semplice. Appena entrato si è tolto - anche abbastanza goffamente - il simpatico copricapo.
La coda del mio occhio li spizza. Devono ricaricare il cellulare. In due sono venuti. Per 10 euro. Di cui suppongo una buona parte in tasse. Il numero è qualcosa tipo 333........... La cassiera lo storpia e loro lo ripetono in altro ordine per almeno quattro volte ognuno, prima di essere sicuri che sia quello giusto. Mi gira la testa. Mi metto in fila. Sperando che non si infilino in borsa anche le cose che ho messo sulla cassa. Il pane è un bel filone di Terni. Di quello anche bello fresco e scrocchierello. Esce fuori per un terzo dalla busta di carta. Sulla cassa poggiato sta.

Sulla cassa poggiato stava. Finché la simpatica ridanciana vecchietta numerologa l'ha colpito con la bisaccia, facendolo cadere in terra. Il mio pane!! E rideva come un'oca giuliva, con quelle impronte di rossetto sui denti, continuando a dare i numeri alla cassiera. Io raccolgo il mio pane e me lo stringo al petto.
Attonita.

Ora, questo episodio a cosa appartiene? Al bicchiere mezzopieno o a quello mezzovuoto?

lunedì, novembre 27, 2006

Mai hiusbend and glasses

Il post precedente ha creato non poco imbarazzo in casa mia.
Mio marito mi legge. Quindi mi devo sempre ricordare di non parlare degli ex, delle cose porche che mi piacerebbe fare con l'idraulico, dei blog scritti da maschi che mi sono piaciuti o anche semplicemente non sbandierare troppo la mia eventuale depressione. Ché poi si turbano certi equilibri.

Lui mi incolpa spesso di vedere il bicchiere mezzo vuoto. E probabilmente non a torto.

Prima di conoscere lui, io pensavo di avere una certa vena di ottimismo. Dopo, mi sono dovuta ricredere, perché lui è il bicchiere riempito e bevuto almeno una volta e mezzo.

Non c'è storia, né concorrenza possibile.

Uno che è soddisfatto di un piatto di tre ravioli, oppure che non batte ciglio per una cartella esattoriale di 16.000 €, o che è felice di portarsi in ufficio l'ultima rancida mozzarella che è rimasta nel frigo con quei due gustosi pomodoretti....

Uno così è inarrivabile.

Eppure siamo dello stesso segno zodiacale. Quindi grossomodo abbiamo un carattere simile. Ma è bastato un passaggio di decade a regalare a lui un'inguaribile visione positiva delle cose e della vita. E a me, una stitica essenza di contorcimento budellare complesso.

Chissà perché mi ama, a volte mi domando.

A me non piace la fantascienza, mi diletto nella lettura di romanzi e attualmente quanto più futili possibile. Sto scoprendo i polizieschi che, dopo una giovanile lettura di gialli, mi avevano lasciato un senso di noia. E lui detesta lo spasmodico uso di avverbi dello scrittore di thriller che pensa di palliare così alla sua incapacità narrativa, mentre io lo scambio per capacità descrittiva.
Non riuscirò mai ad andare oltre la terza pagina di "Cronache marziane". Ieri ho provato a dirglielo. Lui ci è rimasto malissimo. Ha detto che, per sminuire l'avversario, io faccio finta di scordarmi come si chiama. Solo perché invece di dire "fantascienza", mi è venuto qualcosa di simile a "fantasia". Queste sviste lo snervano molto. Sono convinta che lui creda nella teoria di Freud, e li prenda tutti come imperdonabili lapsus. Per me è solo un incidente linguistico. Che non indica nessuna volontà dissacratoria. Mentre invece lui ci legge dentro il profondo disprezzo che io avrei per certe cose e nella fattispecie per quelle che piacciono a lui, o come adora dire: "per quelle che tu non conosci".

Invece per me resta solo una questione di feeling. Non mi ci trovo, non mi corrisponde. In questo momento mi trovo enormemente più attratta da una manco tanto pungente satira del natale in chiave americana che dalle avventure fantascientifiche nate dalla fantasia di Bradbury, per quanto anticipatore sia. E se questo fa bicchiere mezzo pieno, che bicchiere mezzo pieno sia!

venerdì, novembre 24, 2006

Sit down, please, and listen to me

No, io non potrei mai fare il critico letterario.
Ho regalato ad un mio amico di vecchia data un libro che io stessa ho letto solo alcuni mesi dopo. All'epoca rimproverai il mio amico che non conosceva quello scrittore, eppure così famoso nel mondo. Ah, non sai cosa ti perdi, ma non ti vergogni, un uomo di cultura come te! Beh, ecco, io stessa ho provato un senso di malcelata vergogna quando, leggendolo, ho avuto non poche volte il desiderio di sbatterlo nel fondo della libreria. Ma per non farmi trovare impreparata sono arrivata fino alla fine. Migliora, ma non regge. E certo molto peggio dei capolavori di Kundera che il suddetto amico mi regalava in gioventù.

No, io non potrei mai fare la colf. Tutto quello che metto in disordine, resta tale. Non sono in grado di buttare alcunché, per timore che mi possa servire in un secondo (anche terzo) momento, quando magari mi promenerò per il mondo su una sedia a rotelle. Ma al tempo stesso, sono presa da raptus primordiali che mi spingono a pulire qualsiasi cosa compreso il bordino della stampante e se potessi anche la sede dell'inchiostro. Ma ci vuole costanza in queste cose. La polvere è il peggior nemico dell'uomo se non viene affrontata con le dovute precauzioni.

No, io non potrei mai fare l'avvocato. Cambio idea a seconda della persona che ho davanti. Avrei tendenza a dare retta al mio assisitito e subito dopo desiderare con invidia di essere seduta accanto a quel magniloquente avvocato di parte avversa. Sarei capace di sentirmi intimorita da un usciere e provare rabbia per la sicurezza con cui un praticante inforca la sua borsa "The bridge".

No, io non potrei mai fare il medico. La mia empatia mi porterebbe ad un'ipocondria incontrollabile e diventerei impresentabile anche nella più oscura clinica privata.

No, io non potrei mai fare l'insegnante. All'ultimo concorso, in preda ad un terribile raffreddore, riempii il foglio protocollo di starnuti e sangue che mi usciva copioso dal naso. Mi fa sempre così, il naso. Nella fase calante del raffreddore. Sgorgoglia fuori sangue, purificando il mio organismo ma sozzando tutta la zona circostante. La gente mi guardava esterrefatta. E io, che avevo la testa sempre più bassa per la vergogna, sanguinavo sempre di più. Non ricordo nemmeno quello che ho scritto nel tema, tanto ero occupata ad arginare il sanguinolento disastro. Non passai nemmeno agli orali. Ma passai un sacco di tempo nelle toilettes di un'orribilmente lercia scuola romana.

Sit down, please, and listen to me, dear friends.
La vita ci offre tante cose da raccontare. Spesso, quando si verificano, sono assolutamente insignificanti. La vita di chi non lo è? Ma basta un frizzo un guizzo un lazzo per rivoltare la faccenda e farla sembrare unica ed irripetibile. Oggi la lezione è: guardare il bicchiere mezzo pieno. Ché in quello mezzo vuoto c'è sempre meno da bere!

giovedì, novembre 23, 2006

Buchi

Ebbene sì. Sono sopravvissuta.
Quando sembri aver toccato il fondo, c'è sempre il piedone 43 che ti dà una spinta.
Ho il marito migliore del mondo. E questo ormai è un dato di fatto.
Dove lo trovate uno che ripara i danni della suocera appena sveglio la mattina e prima di andare a letto la sera?
Beh, io non lo so come ho fatto, ma l'ho acchiappato.
Egli passa il tempo a lucidare stoviglie, pulire pavimenti e imboccare poppante.
E riesce anche a farsi la barba e docciarsi, lavorare, farsi due ore di raccordo ed essere ancora sorridente la sera! Meglio di una massaia provetta!
Mia madre mi vizia, mi sfizia e mi spizza per vedere se l'amniocentesi decorre bene.
Mi hanno fatto un buco sulla pancia.
Tutta stesa, lunga, sul lettino. I piedi uscivano fuori di mezzo metro e tutti, medici e infermiere, ci sbattevano contro.
Poi è arrivata una dottoressa bella, col camice blu e guanti sterili puliti.
Il suo approccio (credo per farmi sentire a mio agio) è stato: "Ciao Annachiara, che mestiere fai?."
Volevo scoppiare a piangere. Poi, mi sono guardata dall'alto, con la panza all'aria e le braccia lungo i fianchi, ho valutato le possibilità che avevo di munirmi di fazzoletto - pressoché nulle -, e ho ritenuto virare verso la seguente frase: "Non tocchiamo questo tasto dolente, per favore". Ma la dottoressa, decisa a distrarmi dall'enorme ago che si avvicinava alle mie interiora, continuava imperterrita. Io ho cercato di esaurire l'argomento in poche battute, tipo da oggi non lavoro più. "Ma cosa facevi esattamente?" E così via, il muto che parla al sordo.
Quando però l'enorme ago ha toccato il mio tremolante pancino, mi sono azzittata e tutto sommato lei pure. E 'sto prelievo non finiva più. Come da copione la vita m'è scorsa davanti. Ma come da copione tutto si è risolto in un minuto di sofferente immobilità. Certo che la mia vita non dev'essere stata un granché se in un minuto me la sono vista tutta davanti. Non voglio tediarvi con i dettagli, ma pensavo meglio....
Quindi il mio silenzio è dovuto ad un buco e a grandi magnate di cibo di mamma, quello di prima qualità e di prima scelta. I fagiolini che avevo comprato io: "certo che non è più tempo di fagiolini!". Mi restano un quattro giorni di calma e tranquillità. Che già sto sfruttando leggendo tutto quello che forse non potrò più leggere fino alla tomba. E per fortuna che la letteratura russa l'avevo già affrontata in adolescenza!

venerdì, novembre 17, 2006

Volgarità

La mail è di oggi, venerdì 17 novembre.
Da martedì prossimo siamo disoccupate, la mia panza ed io.
E hai voglia a parlare di etica e di meringhe.
Nell'impersonale sintassi di questo nuovo linguaggio non hanno più senso la professionalità pregressa o acquisita.
Le ore di formazione retribuite. Gli obiettivi raggiunti.
Nulla vale il valore assoluto dell'assenza di fidelizzazione.
Io sono un numero e una copia nascosta di mail.
La lettera di licenziamento era generica, e genericamente indirizzata a più persone: "La presente è per comunicarti...".
Almeno quindi non sono la sola.
Anche se non mi consola.
Anche se non mi fa stare meglio pensare di aver lavorato onestamente.
Oggi vorrei aver imbrogliato.
Contato ore che non avevo lavorato.
Rallentato ritmi frenetici che invece ho sempre mantenuto.
Così come oggi mi sento imbrogliata io.
Fottuta nel vero senso della parola.
Con tutta la volgarità che quest'espressione trasmette.
Mobilità, la chiamano.
Ma io adesso mi ritrovo col culo ben fermo per terra.

L'etica della meringa

Sguscio giu', come un giallo d’uovo smembrato dalla sua chiara,


quando mi accorgo che la Soddisfazione è un'illusione,

che fare troppo equivale ad ammanettarsi e fare poco ad andare in galera,

io, eroina della mia storia, indifesa dall'inesitenza dell'etica.

Quest' ETICA DELLA MERINGA

che si sgretola ad ogni sondaggio,

ad ogni parola di troppo ce ne resta di meno.

Ad ogni boccone si scioglie di piu', anche se quando la vedi sembra dura.


E’ duro ammettere che, per fare la meringa, NON CI VUOLE IL GIALLO.

mercoledì, novembre 15, 2006

Tragoedia maxima

Io lo sapevo che a forza di ingollarsi cuccioloni, spaparagnarsi burrose crostate e quadretti di cioccolata, poi da qualche parte sarebbero usciti fuori!
E maledizione, io ieri non ci dovevo andare dalla dietologa! Ero malata. Col mocciolo al naso. Tutto rosso e crostoloso di raffreddore. E invece quel mio assurdo senso del dovere mi ha fatto uscire di casa con mia figlia al seguito e pararmi, con tanto di mezz'ora d'anticipo, nella sala d'aspetto della mia bionda dietologa. Aspetta che ti aspetta, con un'ora di ritardo rispetto alla tabella (e quindi un'ora e mezza d'attesa e la trasmissione dei bacilli a tutti i pazienti che sono passati dagli altri dottori) mi fa finalmente accedere alla camera delle torture. Io avevo messo il mio giulietta e romeo verde pistacchio per tirarmi un po' su. Ma a poco è servito. Indossare i pantaloni premaman prestatimi da mia sorella, poi, era solo l'inizio di quel che poi si sarebbe manifestato in centimetri e chili acquistati (e senza manco sborsare un euro!).
La nostra seduta (termine usato non a caso) inizia con la solita trafila di domande: come è andata in questo mese, cosa hai mangiato, e come mai tutti questi dolci, sempre la stessa quantità di verdura?, e bevi sempre tanto?, e mangi la giusta quantità di legumi?, con quale frequenza ti sei canalizzata (lo dico per i non addetti: canalizzarsi significa fare la cacca, cioè lei vuole sapere con quale frequenza io faccio la cacca!) e tutto il resto. Io tremo perché so che presto mi tocca la pesa e la temuta misurazione. Cerco di essere il più sincera possibile. Magari nascondo qualche cucciolone. Ma le confesso gli scofanamenti di dolci. E questo prepara l'ambiente agli inquietanti risultati. Mia figlia nel frattempo opera per una distruzione sistematica dello studio. E' sicuramente solidale con la mia pena. Apre cassetti con scatole di medicine e li svuota sul pavimento. La dottoressa lascia fare. Ed io certo non mi scomodo a raccogliere. E comunque viene la mia ora. Allora mi spoglio e consegno le mie carni flaccide al loro carnefice. Prima cosa la bilancia. E lì non c'è scampo. Una vagonata di chili in un mese. Per la precisione 2kg700gr. E l'umiliazione definitiva: "In tre mesi avevi preso 700 gr e in un mese mi hai preso quasi 3kg!". Io sono quasi scoppiata in lacrime. Ma il momento peggiore doveva ancora venire. La misurazione centimetrale. Ogni parte del mio corpicione viene misurata. Ed ogni parte del mio corpicione è aumentata anche di svariati centimetri. Verifichiamo, come avevo previsto, che la coscia è aumentata di 3 cm. Uno a chilo. Basta dolci, o pochi pochi. Basta favolose crostate della mamma. Forse basta mamma tout court. Con la coda tra le coscione torno a casa. Preparo un minestrone di verdure. Non tocco dolce dopo cena. Ma avrei tanta voglia di essere abbracciata. Se non fosse che in meno di due minuti mi addormento. Stanotte ho sognato che facevo il detective e indagavo su molti omicidi. Che vorrà dire?

martedì, novembre 14, 2006

Coming out

Volevo raccontarvi di come è entrata come una tempesta. Ha portato uova fresche, burro, arrosti e polpette.
Ha rivoluzionato la mia cucina, senza tema di essere invasiva. Pulito verdura, cotto arrosti, preparato gustosissime polpette, and last but absolutely not least, la favolosa crostata.
Era parecchio che non si mangiava tanto in casa mia. Era parecchio che non mi sentivo così coccolata. Ha perfino messo i piatti nel lavastoviglie e lavato e asciugato le pentole. Dopodiché, il pavimento della mia cucina era una melma di farina e acqua, anche con svariati pezzi d'insalata a fare da contorno.
Volevo raccontarvi di come non ho una lira nel portafoglio perché non ho una lira sul conto, visto che mi sono fottuta lo stipendio del mese scorso per pagare l'assicurazione della macchina (e che macchina, direte voi!). E di come nemmeno mio marito abbia una lira sonante visto che non gli rifanno il bancomat da quasi due mesi. Andiamo avanti a buffi. Ma capirete che non si può fare all'infinito.
Volevo anche raccontarvi di come ieri, oltre alla crostata, ho avuto tra le mani, per la prima volta da diverso tempo, un quotidiano in carta e inchiostro. Un'esperienza da urlo. Noi internauti che privilegiamo lo scroll down dovremmo prenderci ogni tanto qualche vacanza cartacea.
Eppure mi hanno incolpata di far accadere le cose per scriverle poi sul blog. Ebbene sì. E' vero. Sono io che ho costretto mia madre a squaquerarmi la cucina, sono io che trafugo mensilmente il bancomat di mio marito e che butto dalla finestra la copia di "Repubblica" che qualcuno profumatamente pagato lascia ogni giorno sotto lo zerbino. A me piace così.

domenica, novembre 12, 2006

Taglio tutto

Litigata furibonda. Ma siamo comunque usciti il sabato pomeriggio. Allora com'è come non è ci siamo trovati nel solito centro commerciale. Di un triste, con quelle luci al neon. E' inutile comunque che io guardi le vetrine, vista la mia ventura pinguedine. Eppercui adocchio un parrucchiere. Inaspettata àncora di salvezza. Mollo - senza alcun rimorso - marito e figlia e mi accingo a farmi dare una spuntatina alla chioma. Sempre della serie che pochi rispettano la distanza di sicurezza, al parrucco in questione le signorine ti fanno indossare un orribile camice usa e getta, dove, sul braccio sinistro è presente una tasca (non usa e getta, ma solo usa e paga) nella quale ogni signorina che ti mette le mani in testa, ti mette anche le mani in tasca. Inserisce un fogliettino, che non ho avuto il coraggio di consultare, nel quale mette crocette. La prima volta che una si è avvicinata, ho fatto un salto di terrore. Poi, la signorina del lavaggio mi molla venti minuti con la testa bagnata a guardare il soffitto, con una cervicale impellente e io che mi tiro su ogni 30 secondi con lo scolo del materiale che mi ha messo in testa che mi scende sistematicamente dietro la schiena. La signorina del taglio mi piglia sotto la sua ala protettiva armata di pettine e rasoio, discettando amabilmente su capelli scalati e giuste lunghezze. Aveva in testa una pettinatura molto simile ad una scopa. Ho pensato: "Cosa ho fatto io di male?". La signorina della messa in piega non ha la minima spina dorsale per ribadire le sue convinzioni. E siccome siamo pari, cioè io non ho la minima idea di come voglio i capelli, ci impieghiamo almeno mezz'ora per capirci. Optiamo per una messa in piega liscia con punte ad effetto piastra. Credo nel senso di effetto piastra di ferro da stiro in testa. Quella del taglio passa dietro di me e con aria seria dice: "Però, sta bene con i capelli lisci!". Ed io rispondo, signore e signori, udite udite, in uno sprazzo di superego: "Sì, lo so!". Cioè, non rispondo ad esempio: "Ah, grazie" oppure chessò: "E' gentile", od anche: "E' la prima persona che me lo dice!". No, io rispondo: "Sì, lo so!". Manco avessi l'appeal di una top model. E il bello è che non sapevo come rimediare. Per cui mi sono stata zitta fino in cassa. E non ho manco detto a tutte e due che taglio e messa in piega mi facevano schifo. E, tanto per finire, oggi mi ritrovo a letto col raffreddore.

venerdì, novembre 10, 2006

Spazio vitale

Tutti mi frizzano. Tutti mi lazzano. Eppure mi sembrava di essere stata chiara finora.
Ci pensavo ieri mentre lasciavo scaldare l'acqua della doccia nella pigrizia postprandiale.
Succede sempre così. Mi organizzo la giornata lavorativa davanti al PC. Ogni tanto mi alzo per smangiucchiare qualcosa o per fare qualche rapida pulizia, tipo raccattare i giochi sparsi di mia figlia passare l'aspirapolvere e lo straccio. E la doccia rimane l'ultima cosa prima di andare a riprendere la bimba all'asilo. Devo essere più presentabile possibile. Perché all'asilo non pensino che sono una barbona senza arte né parte. Cioè, voglio dire, che questo non sia lontano dal vero, passi pure. Ma non voglio che lo sappiano loro. Oh, in fondo non sono affari loro di come io guadagno i soldi per pagare la retta (o se la pago io). L'importante è che sia fatto. Eh, ma ci sono genitori infidi, che fanno finta di non vedere gli avvisi. Ce ne sono che non pagano la retta del termosifone perché non hanno visto un cartello - gigante! - posto all'entrata. Certo la direttrice ha scritto: "Si dovrebbe pagare la quota di riscaldamento". E' ovvio che uno che vede il condizionale, pensa che non sia obbligatorio. Magari allora anche la direttrice potrebbe pensare che non sia obbligatorio tenere i bambini all'interno durante le fredde giornate d'inverno. Il condizionale, secondo me, gliene dà facoltà! Certa gente veramente non conosce i rudimenti della vita sociale. Poi magari ti salutano a grandi pacche sulle spalle. Diffidate di coloro che non rispettano la distanza minima. Quella vitale. Il tuo spazio d'aria. Quel mezzo metro che ti fa respirare. Sai quelli che arrivano e ti alitano il loro dentifricio in faccia (quando sei fortunato) o dei quali riesci a vedere la nervatura di grasso di spezzatino infilata tra i denti, residuo della cena della sera prima o ancora che ti obbligano a guardare dritto nei loro occhi vistosamente (!!) strabici! Ah, io ne ho conosciuti di soggetti simili. E francamente la mia Y10, i miei pantaloni sgangherati e i golf lisi che non mi ricompro da anni fanno un baffo a questa prepotente invadenza. E io che pensavo di essermi costruita il mio tranquillo micromondo, mi ritrovo a dovermi confrontare con queste mondane realtà inquietanti. Qui non è come andare in una libreria dei parioli come osservatrice dei comportamenti umani. No, qui ti trovi ostaggio della fisicità altrui quando vorresti solo che gli altri rispettassero il tuo mezzo metro. Mezzo metro d'indifferenza. Mezzo metro d'aria. Mezzo metro di bacilli in meno. Mezzo metro di parole al vento. Mezzo metro di profumi di marca in meno. Certo la mia vita sociale si era notevolmente ridotta, finora. Ma non era questa la ventata di novità che mi aspettavo....

giovedì, novembre 09, 2006

L'incontro

La prima volta che l'ho visto, ho avuto un guizzo al cuore. Io, per parte mia, avevo messo un tempo considerevole a prepararmi. Sortito l'abbigliamento più conturbante, ma che doveva anche essere consono al lungo viaggio in treno. E poi non volevo dargli l'impressione di essersi già assicurato la conquista. Camminava con un'andatura da fiera (nel senso di belva). Il re della foresta. Bello era bello. Molto di più che nelle foto. Diciamo nell'orrida foto che mi aveva mandato, lui in compagnia di due colleghe che reputava strafighe e che a me sembravano due sciacquette. Forse aveva avuto paura delle mie di foto. Prese in una notte di ubriachezza molesta parigina, in cui sembravo un travestito manco alle prime armi, con quegli orridi capelli svolazzanti e una sciarpetta che mi dava l'aria di una (un?) palestinese in fuga. I miei denti sembravano creazione della sfrenata fantasia di un dentista impazzito. Non so come lui abbia pensato di andare avanti. Ma io ero soddisfatta del risultato. Se mi avesse voluta, avrebbe dovuto fare i conti con LA donna in carne ed ossa. Ironia della sorte volle che proprio poco prima di quell'incontro, io mi infrangessi l'incisivo superiore destro sul parquet della mia casa parigina, in una notte di svenimenti. Pessimo spettacolo per un primo incontro, ne converrete con me!
Quindi immaginate questa musica, tipo "Un uomo, una donna" (Lelouch perdonami), lei che scende titubante dal treno, con solo una borsa pesante un quintale e s'avanza a passi da gigante (veramente, perché comunque fa sempre il suo bel dignitoso metro e ottantatre), nascondendo il suo dente impazzito. Lo cerca con gli occhi, perché lui le ha promesso di venirla a prendere. Lo cerca negli sguardi sconosciuti. Lo cerca bene, proprio bene, le sembra. Lui le aveva promesso che l'avrebbe abbracciata, stretta in una morsa di fuoco - così s'era immaginata! Epperdincibacco, qui faceva solo un freddo fottuto e di fuoco manco l'ombra. Comunque, mi concentro bene e alla fine, molto alla fine cioè praticamente in testa al treno, lo vedo. Ed ho comunque un guizzo al cuore. Quello iniziale. Quello che mi fa dire è lui. Cioè è proprio lui. E' proprio quello che mi faceva le sviolinate al telefono. Quello per cui mi sono addirittura comprata la scheda telefonica italiana. Quello che voleva assolutamente incontrarmi. Che si era preso una giornata di ferie per pulire casa. Quello che aveva fatto la spesa e avrebbe cucinato per me (per l'ultima volta, ma questo come potevo saperlo?). Insomma lui era tutte queste cose insieme. E me lo trovavo finalmente davanti. Mi strinse tra le braccia. E pensai che era più alto di me veramente, che era veramente barbuto, che era miope come una talpa (e come me) e aveva le mani più belle che avessi mai visto. E io mi trovavo lì davanti a lui. Improvvisamente non più così tanto sicura della biancheria intima che avevo indossato la mattina, del mio imbarazzante dente rotto, delle mie lenti a contatto appannate. E poi questo qui chi lo conosceva? C'eravamo conosciuti su internet due settimane prima. Io vivevo a Parigi da anni e lui a Roma. C'erano ben pochi punti d'incontro. Ma quel giorno c'era l'incontro. Anche se ancora non sapevamo che cinque giorni dopo avremmo deciso di sposarci.

mercoledì, novembre 08, 2006

I don't wanna see you cry

Certo che se penso alle volte che un bastardo mi ha fatto versare lacrime mi si rizzano quei pochi capelli che ho in testa. Che razza di mostro è costei? - direte voi. Con quei quattro peli in testa! Eh, cari miei! Voi non avete avuto uno shock per l'esame di quinta elementare e perso tutta la parte centrale superiore dei capelli in capoccia. Io ho sofferto tanto a 10 anni. In realtà non so perché. Fatto sta che era un periodo in cui stavo malissimo. Affrontavo questo primo e periglioso esame e al tempo stesso non ero più libera di fronte al mondo. Sì, perché mia madre decise di andare in pensione proprio in quel periodo.
Per capire meglio, dovete immaginare che io ho vissuto in una casa con molta variegata umanità.
Un padre e una madre lavoratori entrambi. E fin qui...al limite ci si può stare.
Due zie, di cui una malata di una di quelle malattie molto serie che ti riducono a non muovere più nessun arto. Solo la testa e gli occhi. Felici però. Credo di non aver mai più visto occhi così felici. E questo fiore di donna era assistita da un'altra zia, sempre appartenente alla matriarcale famiglia di mia madre.
Avevamo anche un'efficiente donna di servizio che si occupava di mia zia e della casa. Ma che più che altro era un gendarme.
E poi c'eravamo io e mia sorella. Che io me la ricordo uno scricciolo, magra magra, che si intrufolava dovunque, che si perdeva sempre al parco, intenta com'era a pensare ai fatti suoi. Mentre ora è diventata un donnone tutto tette e capelli (sarà invidia la mia?) super organizzata e nulla le sfugge. Io che ero tutta precisina, ora sono diventata una misera casinara...chissà che abbiamo fatto per meritarci questo contrappasso.
Comunque, dicevo della pensione di mia madre. In una famiglia così, due bambini passano completamente in secondo piano. Immaginate alzare ogni mattina una donnona di quasi un metro e ottanta, accudirla, lavorare etc. Noi bambine facevamo - e diciamolo pure senza vergogna - tutto il porco comodo nostro, dalla mattina alla sera.
Fino a quando la zia se n'è andata. Una bella giornata di quasi primavera.
Allora ognuno s'è ripreso la sua libertà. L'altra zia è andata finalmente a vivere per conto suo. E mia madre ha avuto la bella pensata di andare in pensione. Sai quelli che vanno in pensione a quarant'anni con il minimo. E che costano un fottìo allo stato perché ovviamente vivranno fino a centoquarant'anni...ecco, credo mia madre appartenga a questa tipologia. Ma a me sinceramente a 10 anni poco importava dell'aggravio sulle pubbliche casse, quanto invece cominciava ad interessarmi questa novella inquietante presenza nella mia vita. Immaginate una persona che ha lavorato per ventisei anni, si ritrova all'improvviso senza far nulla, con due figlie quasi adolescenti. Comincia ovviamente a inserirsi pervicacemente nei di loro mondi così teneramente segreti ed indipendenti. Tralascio molti dettagli per ritornare all'inizio di questo post. I miei pochi capelli in testa. E' tutto cominciato con quel fottuto esame di quinta elementare e con quella fottuta pensione anticipata. E diciamolo. Che di capelli ne ho persi anche altri per strada.

martedì, novembre 07, 2006

Parrucca o check-up?

E' da febbraio che non vado dal parrucchiere. Quel pomeriggio portavo mia figlia alla festa mascherata che facevano in ufficio da mio marito. Hai presente quelle occasioni in cui devi dimostrare di essere bella forte e soprattutto madre perfetta. E io decisi che era tempo di farmi risistemare il look dalla mia parrucchiera di fiducia, che però, da quando sono andata a vivere in campagna, si è molto allontanata da casa mia. Ma si dà il caso che fosse molto vicina all'ufficio del mio amato consorte. Quindi quel giorno lì cadeva a fagiuolo. Per cui, con pupa e maschera a carico, andai a rifarmi la cotenna. Quella fu l'ultima volta ad oggi. E mi trovo costretta a considerare che è giunta l'ora di reinvestire del danaro sonante per il mio restauro, se non fosse che il pagamento di quella dannata assicurazione on-line mi ha lasciato il conto completamente a secco.... Ma in fondo a me cosa importa? Non ho un capo cui rendre conto. Di giorno lavoro al computer vestita come una stracciona in attesa di andare a riprendere mia figlia all'asilo e di notte....lascio a voi l'immaginazione con la speranza che mio marito si tenga gli osceni dettagli per sé. E quel che più conta: non ho un capello bianco! Sarà proprio necessaria questa seduta dal parrucchiere quando proprio ieri, spazzolandomi la folta chioma bagnata, mi sono stirata l'interno del gomito a causa dello sforzo (i miei capelli si annodano tra loro appassionatamente, essendo ricci come grovigli)? Sarà l'ora di sbrogliarla questa matassa? O non devo piuttosto pensare ad andare da un medico per rifarmi un check-up?

lunedì, novembre 06, 2006

Fenomenologia della prostrazione

L'ho visto. Ho visto quel capo che tutti/e vorremmo avere e che odiamo intensamente per questo. Quel capo che tutti/e vorremmo essere e non abbiamo mai avuto coraggio di essere. Quel capo che odiamo, eppure ci trasmette linfa vitale. Quello per cui ci pettiniamo la mattina, ci vestiamo, ci curiamo dettagli dell'abbigliamento come non abbiamo fatto mai nemmeno per il/la nostro/a più amato/a fidanzato/a. Quello che ci disprezza, ci usa e abusa, ci sfrutta, quello che ci spreme come limoni già rinsecchiti. Quello che ci vuole morti già durante il primo colloquio. Quello che non è mai troppo tardi per uscire dall'ufficio la sera. Quello che è sempre sbarbato e profumato. Quello che non ha mai un capello fuori posto. Quello che vorremmo imitare in ogni sua movenza pur odiandolo fortissimamente. Quello che parla un italiano perfetto. Quello che non fa mai errori d'ortografia nelle mail. Quello che non si firma nelle mail, perché tanto si sa che è Lui. Tutta questa perfezione, che Lui ti getta in faccia con non-chalance, ti eccita a tal punto che diventi immediatamente adepto/a sado-maso, nella parte del maso, ovviamente. E allora cominci ad effettuare tutta una serie di pratiche che sessualmente non hai mai avuto il coraggio di approcciare (vigliacco/a! ti riuscirebbe così bene!): ti prostri adorante, gli servi il suo caffè e la sua bistecca, cambio camicia, cravatta o cintura, corsa alla lavanderia, lo accompagni in serate di lavoro a mo' di zerbino fuori fino alle tre di notte che lui come fa ad essere fresco e riposato la mattina alle nove, già profumato e seduto alla sua scrivania quando tu entri trafelata/o, piena della forfora che non sei riuscita/o a lavare via, con la laniccia in mezzo alle dita dei piedi ché nemmeno sei riuscita/o a farti una doccia e anche se non si vedono tu li senti ma se arrivavi un minuto più tardi quello ti licenziava in tronco.
Questo e assai di più, troverete nell'assai gustoso filmetto very american "Il diavolo veste Prada", che io personalmente ho apprezzato per alcune sue finezze illustranti la fenomenologia del boss o della bossa e che mi sembrano quantomai attenere al dominio della dura e pura realtà.

domenica, novembre 05, 2006

Nessun rimpianto

Nessun rimpianto.
Solo il dispiacere di non averti detto un'ultima volta ciao, grazie di tutto.
Per la fortuna di averti conosciuto.
Di averti amato.
Di averti avuto accanto in ogni momento difficile o triste, ma anche e soprattutto in quelli felici.
Certo vorrei che oggi tu fossi qui.
Per vedere quello che siamo diventati.
E sempre grazie a te. Ai tuoi insegnamenti, alla tua costanza e soprattutto alla tua fiducia.
Cercherò di darla, ai miei figli. Proprio come hai fatto tu con me, con noi.
Oggi sono cinque lunghi anni che non festeggiamo il tuo compleanno insieme.
Ora ognuno lo fa a modo suo. Sono sicura.
Noi, qui mangiamo a strafogarci.
Anche se non ci dai man forte.
Ma magari ci guardi col tuo sorriso sardonico.
E quello mi riscalderà sempre il cuore.

venerdì, novembre 03, 2006

Quella cosa....

Cazzo, cazzo, cazzo!!
Donne, non è arrivato l'arrotino!
Ma dico, cos'è che voi avreste sempre desiderato che il vostro uomo facesse?
Ah, ce ne sono di cose! - direte voi, con aria sognante.
Beh, sì, ce ne sono - rispondo io, più realisticamente.
Magari qualcuna ne ha fatta.
Eh sì, certo, per meritare la vostra presenza al suo fianco, qualcuna ne deve pur aver fatta!
Eh, ma allora cominciamo a quantificare!
Beh, il mio mi ha fatto un sorpresone. E' arrivato a Parigi, mentre ero all'ospedale quasi morente. Tutti lo sapevano tranne me (che lui arrivava, non che dovevo morire!). Erano cinque mesi che ci conoscevano. Ci eravamo visti quattro volte, suppergiù. Ma lui ha preso il treno di notte e si è precipitato al mio capezzale. Che momento clou! Questo avveniva circa quattro anni fa. Ma io sono ancora commossa. Ed è per questo, forse, che dopo altri cinque mesi ci siamo sposati.
Ma ormai questo è archivio.
Perché, è ovvio, qualunque femmina sessualmente attiva, ma anche qualcuna non, desidera che il proprio uomo, od anche un qualunque uomo sulla faccia di questa avara terra, faccia una follia per lei!
Ecco, ma definiamola, questa follia. Perché mica tutte possono essere chiamate tali. Cioè, mi spiego: ad esempio attraversare la città in macchina per andare a mangiare pesce sul mare, secondo me non è una follia. Ma magari una quindicenne che non ha mangiato mai pesce (evitiamo i doppi sensi, per favore) in vita sua, pensa che il suo uomo abbia fatto una magia per lei quella sera. Il fatto è, però, che io non ho più (e da un pezzo) quindici anni. Per cui il mio uomo, per sorprendermi, dovrebbe fare qualcosa di veramente speciale, chessò attaccare un assegno in bianco su un catalogo della Costa Crociere, ad esempio!
No MA CI PENSATE????????????????? Io la conosco la moglie di quest'uomo e la invidio da morire!!!!
Ma ve lo immaginate? Il giorno del vostro primo anniversario di matrimonio, lui che arriva con questo pacchetto. Voi tutte tremanti (ma mai vi immaginereste una cosa simile!) lo aprite e ci trovate dentro praticamente una cambiale per la felicità!
Marito mio, perdonami, perché ho peccato in pensieri, parole, opere e soprattutto emozioni. Il mio cuore non ha retto alla notizia. Ho provato quel sentimento chiamato invidia. Non tanto per i soldi. Quelli vanno e vengono. Per tutti. Ma per l'idea! Cavolo, l'idea! Avere pensato ad una cosa, una cosa....una cosa così....così favolosa! Basta, bisogna che smetto, sennò scoppio!

giovedì, novembre 02, 2006

Sgorbio in calce

Parrucchino nero. Camice bianco. Parla veloce. Io non capisco niente. O quasi niente. Dà per scontato che io conosca la differenza tra geni e cromosomi. Probabilmente dà per scontato che tutti/e la conoscano. Io ho preso il diploma di liceo scientifico quasi vent'anni fa. Mi spaventa solo pensarlo. Sono stata rimandata in chimica, nonostante passassi gli appunti a tutta la classe. Per indisciplina. E quel che più conta, ho fatto tabula rasa di quei cinque anni. Perciò si può dire con agio che io non mi trovi esattamente nella situazione culturale che egli crede. Ergo: non capisco una mazza. Oso chiedere chiarimenti e per tutta risposta mi dà da firmare un foglio dove mi dice che sono presenti tutti i dettagli che lui si è pregiato di darmi a voce. Da firmare in copia carbone. Come nei vecchi uffici di una volta. Io appongo firma in calce, tutta storpiata. Fa da liberatoria nel caso il medico poi sbagli e mi cacci tutto l'ago nella pancia. E allora lo libero da ogni responsabilità. Ci vuole così poco in fondo!