Ieri sera mi sono persa tra le sapienti immagini di Ozpeteck.
Mi sono persa nel senso che sono stata inghiottita da questo racconto di rara bellezza, dove oggetti normali si fanno straordinari, dove la vecchiaia è solo uno stato mentale e la follia un'opinione ottusa. Dove visi di una bellezza extra-ordinaria reggevano primi piani chirurgiamente invasivi. Io l'avrei voluta una nonna mina vagante come quella, un'intensissima e bellissima Ilaria Occhini. Le mine vaganti sono dove nessuno vorrebbe che fossero. La nonna mi ha ricordato il mio caro Florentino Ariza, che non era certo una mina vagante, ma il cui amore per Fermina è durato per sempre. Con incrollabile certezza. Gli amori impossibili sono quelli che durano per sempre. Di per sé sarebbe una cosa triste, ma la nonna ci convive tutta la vita. Ed alla fine il suo sguardo è sereno. E poi vuoi mettere come decide di mettere fine ai suoi giorni? Ingurgitando chili e chili di meravigliosi e gustosissimi pasticcini.
Vorrebbe essere un film sulla difficoltà di comunicare la propria identità sessuale in una tradizionale famiglia pugliese. Invece, secondo me, è un film sulle facce dell'impossibilità di avere l'essere amato. Sul dolore dell'assenza, che diventa insopportabile almeno quanto i ricordi.
Ed è per questo che ci riguarda tutti, in un modo o nell'altro.
Mine Vaganti di Ferzan Ozpeteck