Vorrei dedicare questo post ad un'amica che sta passando un momento difficile a causa di una strana malattia.
Si tratta di una mail che scrissi ai miei amici nel luglio 2002, dopo la mia strana malattia, quando vivevo a Parigi. 
Cari amici,
Vi stavate domandando dove fossi ? Ebbene, avrete tutte le  spiegazioni del caso. Che sono molte.
Ho passato delle bellissime vacanze.  Forse le più belle della mia vita. Avevo un po' di torcicollo e mal di testa,  ma con lo scirocco che tirava in Sicilia, ho considerato che la cosa fosse  normale. Ero comunque molto stanca. Ma non ho dato eccessivo peso alla cosa. Ho  approfittato di tutto ciò che quella terra ricca di cultura, di cibi e di  tradizioni mi offriva, godendone appieno. Certe panelle di farina di ceci a  Palermo, che non dimenticherò facilmente, cosi come gli oleandri fioriti  sull'autostrada, che solo a vederli emanavano profumo ! E l'odore del sale sulla  pelle, forte e aspro! L'accoglienza dei siciliani, ospitali e generosi! La  presenza di Marco, il mio compagno, che ha illuminato tutto di una luce speciale! L'incontro con Peppuccio, il mio amico di mail da anni, con la testa pelata e  i lacrimoni di gioia! La sua pasta al nero di seppia, cucinata la mattina  espressamente per noi!
Il ritorno è stato molto più duro del previsto.  Ho avuto diversi problemi sul lavoro. In due settimane di assenza, le cose non  erano avanzate di un millimetro. Sébastien era sull'orlo di una crisi di nervi,  e io mi sentivo stanca, malgrado le mie vacanze, ed effettivamente mal disposta.  Una improvvisa mail di censura sul nostro lavoro, scritta di Audrey, mi ha  fatto saltare i nervi in capo a tre giorni. Sono andata da un medico, e gli ho  chiesto se mi poteva dare un periodo di malattia, perché il lavoro mi stressava  troppo. Il medico ha acconsentito, e mi ha firmato un foglio per ben 17 giorni  di malattia. Al colmo della felicità, preparo già il mio viaggio in Italia.  Prenoto il biglietto, mando i fogli di malattia all'ufficio, aspetto  pazientemente che il week-end termini per prendere l'aereo per Roma il martedi  mattina. Il venerdi sera mi guardo le gambe, e noto una quantità spropositata di  grumetti di sangue al posto dei pori. la mia  pelle era cosparsa di lividi. La mattina di sabato mi esce sangue dal naso,  dalla bocca e dalle orecchie. Non so cosa fare. Resto attonita a guardare la mia  metamorfosi. Penso subito che siano i ricostituenti che mi aveva dato il medico  e che io diligentemente avevo cominciato a prendere. Certo - mi dico - è strano  che mi decompongano piuttosto che rimettermi insieme!
Il sabato sera sono  stanchissima. Mi dico che la prima cosa da fare lunedi mattina è ritornare dal  medico.
Lunedi il medico mi visita. Mi dice subito che devo immediatamente  andare al Pronto Soccorso perché bisogna fare delle analisi. Pare si tratti di  una malattia chiamata 'Porpora' - il nome di per suo sarebbe carino e per nulla  terrorizzante. Non mi dice nulla di piu', anche dopo aver consultato tutti i  suoi libroni di controindicazioni delle medicine. Mi fa una lettera di  presentazione, esatto proprio una lettera manuscritta di presentazione, per il  Pronto Soccorso, con l'invito di recarmici immediatamente.
Stordita, esco  dallo studio e mi avvio verso l'ospedale, raggiungibile a piedi.
Nata il 1  dicembre 1969, nessun antecedente, mai operata, nessuna allergia conosciuta,  intolleranza all'aspirina. Signorina, lei è solo una di piu' con una lettera  cosi, chissà quanti se le scrivono da soli. Voglia di stampare un bicipite sulla  sua faccia.
Aspetto che mi chiamino. Mi misurano la pressione e la  temperatura. Sembra tutto normale. Cerco di chiedere informazioni su quando  potrò vedere un medico. C'è un cartello che dice : ' Non possiamo garantire il  rispetto dell'orario di arrivo. L'attesa media è dalle 4 alle 6 ore'.
Mi  metto l'anima in pace. Sono nel posto piu' sicuro per me al mondo in questo  momento. Qualsiasi cosa mi succeda, ci sarà qualcuno che penserà a  me.
Dopo un'oretta di attesa, mi chiama un dottore. Mi fa spogliare mi  visita, sintomi e tutto quanto. Sembra non abbia molti dubbi che si tratti di  questa 'Porpora'. Bisogna fare le analisi del sangue. Aspetto mezz'ora  l'infermiera. A mia grande sorpresa, non sento nemmeno l'ago. Mi rimandano in  sala d'aspetto. Bisogna aspettare un'oretta per i risultati.
Aspetto, fumo,  penso.
Un'ora dopo mi richiamano dentro. La dottoressa che mi aveva visitato  mi presenta il medico di guardia, che mi spiega che ho un problema abbastanza  serio, che richiede un ricovero ospedaliero d'urgenza. Praticamente ho 5000  piastrine invece di 150.000/250.000. Il mio sangue non coagula piu'.
Io non  capisco molto. Mi lascio guidare. Sono molto bravi e professionali. Mi dicono  che mi hanno trovato un posto in un ospedale che si occupa di ematologia, uno  dei migliori. Tra tre quarti d'ora arriva l'ambulanza. Mi mettono sotto flebo.  Poi, ora, tanto per toglierci ogni scrupolo, ti portiamo a fare uno scanner alla  testa. Mi fanno montare su una sedia a rotelle. Mi diverto un mondo ad essere  trasportata lungo i corridoi di quell'ospedale che avevo sempre visto da fuori  tornando a casa. Il divertimento si crespa un po' quando mi lasciano da sola di  fronte alla porta per fare lo scanner. Lo scanner sarebbe la Tac. Stavo per fare  una TAC al cervello. Con tanto di flebo a carico. Mi è passata davanti tutta la  vita mentre mi mettevano orizzontale. Ho pensato a mio padre, a tutte le persone  che mi volevano bene e che si sarebbero commosse vedendomi così. Ho pensato a  me, e a me sola, lo confesso, ché mi poteva restare ben poco da vivere e che  diavolo! mi devo sposare, non puo' mica finire cosi! Però dovevo stare ferma e  non potevo piangere. Così mi sono ringabbiata le lacrime fino a che non mi hanno  tirato fuori, per sputarle in faccia al medico, insonore, lunghe, tirate. Ho  cercato di dire grazie. Ma non è uscito nulla.
Mi hanno spinto fino  all'ambulanza, dove mi aspettavano Cristina e Xavier. Siamo saliti tutti,  destinazione ospedale. Reparto di immunologia. Io dovevo partire domani.  Domattina potevo stare sull'aereo e dissolvermi nell'etere.
Il medico che mi  visita all'arrivo in ospedale, mi dice subito che il prossimo passo poteva  essere l'emorraggia interna. Niente paura ora è tutto sotto controllo.  Formicolii alle mani - mi chiedono -, mal di testa? Questi punti rossi che ha  dappertutto sulle gambe e sulle braccia si chiamano petecchie. Ma la petecchia  non era un insetto? - penso io. E' la sola cosa sensata (?) che mi venga in  mente in quel momento.
Mi fanno accomodare in una grande stanza, da sola, con  il bagno, la televisione, il telefono. Cristina, donna pratica, chiede  all'infermiera quanto potrà costare tutto questo. L'infermiera con non-chalance  risponde 1500 al giorno. Io sarei caduta per terra se non fossi stata intubata  sul letto. Ma come si puo' fare per sapere? Deve andare ai servizi sociali e  farsi spiegare se puo' essere esonerata dal pagamento. Mando Xavier in  avanscoperta, che mi tranquillizza, dicendomi che la diaria non è poi cosi  elevata. Poi si vedrà.
Il giorno dopo, in seguito ad un prelievo di  midollo osseo (il medico mi ha piantato un ago dritto dritto nello sterno, un  dolore inaudito!), mi spiegano la diagnosi, in questa lingua ostica, dopo che  già tutti tra Marco, Livia mia madre Cristina conoscevano a menadito la malattia  per aver chiesto informazioni o letto su internet. "Porpora trombopenica". In  poche parole, io produco queste graziose piastrine correttamente, ma produco  anche degli agguerriti anticorpi che se le mangiano a quattro ganasce. La  produzione di anticorpi in eccesso puo' effettivamente provocare fatica, questo  mi sembra di aver capito. E quindi si spiegherebbe quella strana stanchezza che  sentivo da tempo. Ma cos'è che ha scatenato tutto questo? Ebbene, non si sa.  Potrebbe essere un virus rimasto nel mio corpo, anche solo per un raffreddore.  Per ora la cura si chiama Cortisone e immunoglobuline per flebo. Il giorno  stesso del prelievo di midollo osseo, si presenta il dietologo nella mia stanza.  Sono venuto per dirle che sta per cominciare un regime alimentare senza sale e  senza zuccheri, che si protrarrà per tutto il tempo in cui prenderà il  cortisone. Cosa significa questo, scusi? Beh, semplicemente che dovrà eliminare  completamente dalla sua dieta (dieta !?) sale e zucchero per tre motivi: rischi  di ipertensione, di diabete e di diventare la donna cannone.
Ma stia  tranquilla, si legga questo libricino che le dò, c'è scritto tutto dentro, poi  se ha bisogno mi fa domande.
Sgrunt !, penso. Non potrò più mangiare nulla  che non sia cucinato. Formaggi, caramelle, pasta, aperitivi, succhi di frutta,  acqua minerale, un gelato, e per non parlare della cassata siciliana, dei  dolcetti alle mandorle di Peppuccio o delle lasagne di mamma! Cerco di non  agitarmi. Dormo che mi fa bene. Le infermiere non si curano molto di me. Pare  che nel reparto io sia la meno grave. Questo, in un certo senso, mi rinfranca.  C'è chi sta peggio. Scopro di non essere sieropositiva né leucemica, e di non  avere nemmeno l'epatite. Anche queste informazioni, rubate qua e là, fanno  piacere. Io bevo una media di 7/9 litri d'acqua al giorno. Sono ossessionata dal  pericolo di diventare una mongolfiera. Faccio, ovviamente, altrettanta pipi  riempiendo scrupolosamente numerose bottiglie, che un'infermiera viene a contare  ogni mattina. Questa routine dà un senso alle mie giornate. Mi figuro di  eliminare i miei anticorpi cosi. Non sarà vero, ma mi dà un enorme  sollievo.
Il giovedi mattina mi tolgono la flebo. Vado dal medico a  chiedere quando potrò uscire. Il medico mi risponde: 'Quando vuole lei!". Io  dico: "No, scusi, non è quando voglio io, ma quando vuole lei piuttosto!". Il  medico si stranisce. Io mi incazzo. Vado dall'assistente sociale ospedaliera. Le  chiedo di spiegarmi il fatto del pagamento dell'ospedale, i monosillabi dei  medici, i diritti che ho come paziente. Lei è molto esaustiva ed efficace.  Consegnerà la mia pratica alla Cassa Malattia, chiedendo l'esenzione totale, che  potrò facilmente ottenere in virtù della mia patologia . In più, dieci minuti  dopo, il medico entra nella mia stanza e mi rispiega con pazienza quello che ho,  cosa bisogna fare, le analisi che bisogna aspettare. Io gli chiedo di avere  ancora più pazienza e prendo religiosamente nota di tutto quello che mi dice.  In poche parole, avremo lunedi alcuni risultati importanti, per cui se mi  tranquillizza posso restare fino a lunedi. Io rispondo che preferisco così.  Effettivamente mi sembra la cosa migliore.
Venerdi mattina arriva Marco.  Una sorpresa. La più bella. Finalmente. Si è fatto il viaggio in treno. Lo  sapevano tutti tranne me. Me lo sono ritrovato tra le braccia nella mia camera  d'ospedale e tutti e due con le lacrime agli occhi ci siamo abbracciati. Sono  ancora viva. Ti sposerò amore mio. Dovessi sorreggere le mie 5000 piastrine con  le stampelle!
Ora mi sento più tranquilla. Marco è calmo, controllato. Non  perde mai la pazienza, anche se non parla una parola di francese. Mentre io sono  isterica. Ci apprestiamo a passare questo tranquillo week-end all'ospedale.  Giochiamo a carte, mangiamo senza sale e senza zucchero, qualche lettura, il  telegiornale italiano (fortuna!) e qualche visita.
Lunedi mattina, tutti  pronti. Io sono agitatissima, mi gira la testa, vedo strane strisce. Sarà la  pressione. Niente. Nessuna notizia. nessuno mi dice niente, non capisco che cosa  devo aspettare per poter uscire. Alla fine capisco che mi devono dare dei fogli  firmati e che con essi devo andare a pagare. Mi fanno uscire alle 15h30. Chiedo  al dottore se sul certificato medico mi puo' scrivere "Convalescenza  all'estero". Lui non capisce. Fa finta di non sapere di cosa si tratta e mi  scrive giusto che mi autorizza a uscire tra le 10h00 e le 12h00 e le 16h00 e le  18h00. Per il resto, nisba. Problema mio. Evviva l'Italia. Dovete sapere che  questo medico aveva già inviato parte della mia cartella clinica in Italia,  quindi era perfettamente al corrente che io sarei dovuta partire in  convalescenza. Misteri della fede.
Sono isterica. Marco è sempre calmo.  Allora mi calmo anch'io. La sera del mio rientro a casa lui riparte per Roma.  Resto sola, con la mia dieta e la mia malattia. Avrò tempo per organizzarmi i  pensieri.
Quando vado alla Cassa Malattia, per far autorizzare la mia  partenza, mi dicono che il medico dell'ospedale avrebbe dovuto scrivere  "Convalescenza all'estero" sul certificato, se no niente autorizzazione. Che  faccio ora? Certo non ci torno da quello. Decido di armarmi di santa pazienza e  vado dal mio medico curante, che mi fa un certificato medico buono e giusto e  ritorno alla Cassa Malattia, dove mi fanno finalmente un foglio di via. Ma non è  finita, perché devo portare questo foglio di via alla sede centrale, per farmi  dare l'autorizzazione definitiva. La Francia, terra di libertà, sembra una  prigione. Ma io non posso tornare in Italia se non sono coperta  dall'assicurazione, perché nelle prossime tre settimane c'è pericolo di una  ricaduta, e non posso trovarmi scoperta con l'assistenza.
Nel frattempo,  sto cercando di organizzarmi una routine culinaria e quotidiana. Faccio la spesa  e cucino verdure e proteine. In Francia non esiste il pane senza sale. Ho  scoperto che se lo si vuole, bisogna ordinarlo alla boulangerie per il giorno  dopo. Questi giorni faccio colazione con il pane azimo. Per ora mi stuzzica, ma  non so quanto durerà. La cucina senza sale è complicata, ma molto depurante.  Forse alla fine diventerò anche un figurino. Sono molto stanca, non riesco a  concentrarmi su molte cose. Mi limito allo stretto indispensabile per  sopravvivere.
Porto dunque il foglio di via alla sede centrale,  distaccamento internazionale, dove sono tutti gentilissimi, e mi fanno  immediatamente l'autorizzazione, dandomi anche molte spiegazioni. Sono  assicurata anche in Italia ora, posso partire quando voglio, senza perdere altro  tempo.
Mia sorella mi viene a prendere. Non me la sento di prendre l'aereo e ho  paura a fare da sola il viaggio in treno. Pare che quando si prende il  cortisone, bisogna evitare luoghi affollati. Stamattina ho fatto molta fatica a  relazionarmi con gli impiegati che avevo davanti. Ho un senso di paura e di  inadeguatezza che  non mi appartiene, ma che non riesco a controllare. Faremo un  lungo viaggio in treno. Avremo tempo di parlare delle paure che abbiamo avuto  tutti negli ultimi giorni, e delle tante speranze che ci restano. Marco verrà a  prenderci alla stazione di Roma. Torno a casa. Parigi me la lascio dietro le  spalle, con i ricordi, le persone che ho conosciuto, le esperienze che mi ha  regalato, le cose che mi ha insegnato, le delusioni e la fatica di vivere in una  città di solitudini, la gratitudine per avermi permesso di conquistare  un'indipendenza mentale ed economica che non avevo conosciuto in Italia.
Ma  ora guardo al futuro, ché ho la fortuna di poterlo fare.
Annachiara
9 commenti:
Ho letto tutto d'un fiato, certo che è stata un'odissea, con tanto di lungo viaggio di ritorno, la tua. Se stiamo qui a parlarne comunque vuol dire che è andato tutto per il meglio. Lo auguro anche a panzallaria. Ben ritrovata.
Letto anche io tutto d'un fiato... porca l'oca!
io dico solo grazie.
c'ho le lacrime.
vorrei dire qualcosa ma mi esce solo grazie dal profondo della pancia
Mamma mia che brutta esperienza ...ho letto tutto il post divorandolo e sperando che sia andato tutto per il meglio....
p.s. grazie per il commento sul mio blog!!!!grazie davvero
è andato tutto bene, ed è quello che conta. a parigi ci si può sempre tornare, magari in vacanza, con un mucchio di piastrine, a scofanarsi di croissant e baguette
Spero presto di poter anche io dire di avere lasciato tutto alle spalle, per la mia Rudlph. Per ora siamo ancora in ballo, anche se meglio di come si era partiti.
Un abbraccio
Vero..tutto d'un fiato! Come quei racconti che finisci in frettissima e poi ti rendi conto che erano di 1000 pagine!
Che storia...io non so cosa avrei fatto..
Sei stata coraggiosa..e ora hai consolato un'amica.
Continuo a leggerti..
Miriam
Speriamo vada bene tutto anche alla tua amica. Un abbraccio ad entrambe.
Daniele (Macca)
tutto è bene quel che finisce bene... ma cribbio, se non fosse iniziato però andava bene lo stesso...
l'importante è che sia passato.
sei una roccia. un abbraccio, silvia
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